Lincoln machiavellico Portò giustizia e libertà grazie alla corruzione

Spielberg ritrae il presidente Usa che abolì la schiavitù mentre forza la legge in suo favore e "compra" i deputati

Lincoln machiavellico Portò giustizia e libertà grazie alla corruzione

Lincoln, l'ennesimo capolavoro di Spielberg nelle sale dal 24 gennaio, è un film che entra nel cuore del dibattito attuale sull'arte della buona o cattiva politica. I fatti storici sono questi: il presidente Lincoln guida le truppe dell'Unione nella sanguinosa guerra civile contro i «ribelli» del Sud. Lo scontro armato serve a risolvere una partita che si gioca a più livelli intrecciati fra loro. L'abolizione della schiavitù è un imperativo morale ma anche una necessità economica per il Nord, svantaggiato dal punto di vista della manodopera. C'è anche da scongiurare il rischio di sfasciare la nazione, ancora basata su fragili equilibri. Lincoln riesce nel capolavoro: vincere al Congresso, emendando la Costituzione in senso anti-schiavista, e vincere sul campo di battaglia, ponendo subito le basi della riconciliazione. Il fatto di diventare «santo» in vita non gli eviterà il martirio: morirà assassinato nel 1865.
Questa è la cornice di una pellicola che punta tutto sulla parola e niente sull'azione. Al centro ci sono i dubbi di Lincoln e il retrobottega della politica, quello in cui signori senza volto organizzano il consenso. Comprandolo, quando necessario. Lincoln, si dice in un passaggio chiave, ha portato libertà e giustizia grazie alla... corruzione. Le scene girate al Congresso e dintorni mostrano quello che noi oggi chiamiamo il mercato delle vacche: una ventina di democratici accettano di sostenere il XIII emendamento contro la schiavitù proposto dal partito repubblicano guidato dal presidente. Il voto non è gratis. I deputati voltagabbana sono attesi da incarichi pubblici poco faticosi e ben retribuiti. Uno scandalo, senz'altro. Dal quale però nasce il provvedimento che ha stabilito l'uguaglianza di tutte le razze di fronte alla legge. In fondo non è uno scandalo accettabile, sembra chiedersi il regista?
Il Lincoln interpretato dallo straordinario Daniel Day-Lewis si pone per tutto il film il più machiavellico dei quesiti: il fine (buono) giustifica i mezzi (meno buoni)? La risposta, dopo molte incertezze, è affermativa. Per questo il presidente incoraggia la corruzione come male necessario e forza consapevolmente la legge, a esempio quando proclama l'emancipazione degli schiavi nel 1863, attribuendosi poteri più ampi di quelli che gli spettano. L'opposizione lo chiama «tiranno» e forse non ha tutti i torti (tra l'altro il suo assassino John Wilkes Booth si considerava un tirannicida). Lincoln osa perché vede innanzi a sé l'occasione irripetibile. La grandezza del principe, direbbe ancora Machiavelli, sta nell'acciuffare la fortuna al momento giusto. Volpe e leone al contempo, Lincoln giganteggia perché combatte la battaglia politica mosso da un ideale superiore mentre quasi tutti gli altri guardano alla convenienza momentanea e all'interesse personale. Insomma, Lincoln vuole fare la Storia anche quando ordisce meschine alleanze.
La sceneggiatura ha le spalle così larghe da tenere conto delle molte obiezioni: chi decide quali sono gli ideali superiori in nome dei quali sacrificare l'onestà dei mezzi? Una volta sdoganata la corruzione, sarà possibile arrestarla o limitarla? La sovranità conferita dal popolo pone il presidente al di sopra della legge qualora essa sia di intralcio a decisioni cruciali? C'è una ambiguità di fondo irresolubile, alla quale non sfugge neppure la risposta di Spielberg: il principe non diventerà tiranno se, come Lincoln, agirà per affermare la giusta morale, cioè i principi alla base della Dichiarazione d'indipendenza e della Costituzione degli Stati Uniti d'America. Sappiamo però come i concetti di morale e giustizia siano variabili a seconda degli uomini, delle epoche e dei regimi.


Comunque sia, questo film tocca i nervi scoperti della nostra società e conferma la bravura di Hollywood nel trattare la politica. Dopo Le Idi di marzo, splendida opera di e con George Clooney, ecco un altro film meno cinico ma altrettanto profondo.

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