"L'intelligenza artificiale? Non ci toglierà la libertà"

L'esperto della Singularity University: "Anche oggi c'è la schiavitù: non fisica, ma di un lavoro che odiamo"

"L'intelligenza artificiale? Non ci toglierà la libertà"

«Davanti a noi abbiamo sfide così grandi che probabilmente non bastano 8 miliardi di persone per risolverle. Ma proprio per questo il momento è il più esaltante di sempre». David Orban è ungherese di nascita ma cittadino del mondo, di oggi e di quello che verrà. Studi universitari compiuti in Italia, è un fisico che va oltre la fisica ed è advisor della Singularity University, l'ateneo fondato nel 2009 col contributo di partner come Nasa e Google per accompagnare la società verso l'impatto con la rivoluzione hitech. Soprattutto Orban è uno dei massimi esperti mondiali di intelligenza artificiale e proprio a Milano, a settembre, Singularity University radunerà una serie di cervelli (tutti umani) per spiegare cosa dobbiamo aspettarci: «Fino a pochi anni fa l'innovazione tecnologica era considerata un'americanata per smanettoni, ora l'Italia si rende che a non affrontare il problema mette a rischio la sua sovranità. La tecnologia abbatterà ogni confine».

Però ci sarà da combattere: l'innovazione ha il suo contrario nella conservazione dello status quo.

«Una battaglia che accompagna la storia dell'uomo. Ora serve un patto tra generazioni perché il prolungamento della vita, la sperimentazione, la capacità di mettersi in discussione vengano considerati degli aspetti positivi».

È possibile?

«C'è una scienza che studia tutto questo e si chiama neotenìa. Se oggi rischi di essere licenziato a 50 anni devi capire e avere gli strumenti per farlo che è solo attraverso nuove abilità che puoi renderti utile a te stesso, alla famiglia e alla società. Così i giovani non sono mammoni ma solo confusi. Come gli adulti, che però per convenzione sociale lo nascondono. Siamo in una Terra di Mezzo, servono soluzioni».

Il reddito di cittadinanza, per esempio?

«Popper non amava le definizioni, ma per il lavoro bisogna trovarla. A domanda, 80 persone su cento oggi ti diranno che odiano il proprio lavoro: la nostra società ha accettato che si può vivere una vita che si odia. È la schiavitù cognitiva, meno becera di quella fisica degli schiavi romani, ma che limita la mente. È mancanza di libertà».

La soluzione può essere davvero l'intelligenza artificiale?

«Pensateci: l'automazione progressiva ha già eliminato il lavoro spacca schiena dell'agricoltura. Presto anche il lavoro meccanico degli uffici sarà automatizzato e io dico: meno male. Quando l'uomo ha capito che cuocere i cibi era più utile e rapido si è diversificato dalle scimmie e ha cominciato ad occupare il tempo ritrovato per inventare qualcos'altro. Ci sarà modo di dedicarsi ad essere utili a se stessi e alla comunità intera: diventeremo creatori di sogni».

Ma il mondo gira intorno al denaro.

«L'economia verrà mediata da funzioni molto più sofisticate e finirà l'idolatria di quei pezzi di carta primitivi. Che oggi fanno onorabilità per il fatto di averli, senza che nessuno si preoccupi di sapere come li si è ottenuti».

Non tutti sono d'accordo a rinunciare ai propri privilegi.

«Ci sono due atteggiamenti possibili: quello di chi vuole alzare le possibilità dal basso e quello che vuole toglierne dall'alto. Il populista sceglie il secondo. Nel breve termine è un atteggiamento vincente, nel lungo termine distrugge tutto. Le faccio un esempio».

Prego.

«Se per avidità politica vengono tolti fondi alla Nasa, il prossimo asteroide che viaggia indisturbato verso la Terra ci cancellerà tutti. La tecnologia è un gioco a forma positiva: i nemici sono gli asteroidi, le malattie, le auto che uccidono un milione di persone l'anno. Non un altro essere umano».

Nel mondo c'è chi però vuole tornare al Medioevo.

«È vero, ma un'importante lezione degli ultimi 20 anni è che non si può imporre una visione. Chi non è pronto deve essere pazientemente accompagnato con gli esempi e l'educazione: l'imposizione è vissuta come un giogo. Non è facile, perché è più facile rimanere indietro e sviluppare un senso di ingiustizia. Capita anche a uno come me di rimanere indietro...».

Per esempio?

«Ha presente Snapchat? Ecco, io non lo uso. Eppure ha anticipato i tempi di Snowden, la difesa della privacy. Oggi la possibilità di cancellazione dei messaggi e della non profilazione degli utenti è vissuta come una necessità».

Cosa ne pensa allora del Manifesto di Zuckerberg? Più profilatore di Facebook...

«Non è sempre un male, dipende da come si usa la profilazione. Va studiato come utilizzare i social network in senso positivo».

I social sono un pericolo?

«Nel 1976 Richard Dawkins ha scritto Il gene egoista: raccontava come i nostri corpi fossero diventati veicoli per i padroni dell'evoluzione. I meni sono gli equivalenti culturali dei geni: la menetica sta nascendo oggi attraverso i social network, i social media e le fake news, con strumenti di analisi e valorizzazione utili e necessari. Ma non se sono in mano a chi li può manipolare».

Un cervello artificiale allora potrebbe sopraffarci.

«Non se lo affrontiamo alla pari, servono limiti ma non sappiamo ancora quali. Di sicuro i canti di sirena su quello che mangiamo o utilizziamo, su come viviamo, potrebbero imbrigliarci in un mattatoio psicologico. Dobbiamo preservare la libertà di scelta capendo i meccanismi del nostro cervello. Che è già stato condizionato».

Come?

«Pensate a chi fuma: una volta c'era l'immagine cool del cowboy con la sigaretta, oggi il fumatore è uno sfigato. Il nostro cervello lo legge così. Domani sarà lo stesso per chi è grasso. E chi non si metterà a dieta potrebbe essere privato dei diritti del sistema sanitario. Il problema è come la società si deve confrontare con l'equilibrio tra libertà e benessere sociale. Evitare storture come quelle cinesi».

Ovvero?

«In alcune città il comportamento sui social viene analizzato da un aggregatore prima dell'erogazione di un mutuo. Si rischia di restare privi di un tetto senza sapere perché».

È questo il pericolo dell'intelligenza artificiale: manca un limite.

«Noi abbiamo un cervello che non può essere fisicamente più grande del diametro del bacino di una donna: la nostra intelligenza non è la più grande dell'universo e già oggi gli aeroplani volano più veloci degli uccelli e i computer battono i campioni di scacchi. Macchine, con le quali dobbiamo avviare una coevoluzione per diventare migliori. La perdita di controllo però è uno scenario: non dobbiamo antropomorfizzare lo sviluppo dell'intelligenza. I robot non saranno tutti antopomorfi e le intelligenze artificiali non saranno per forza autocoscienti».

Dipende tutto da noi umani...

«Abbiamo sfide incredibili davanti a noi. Per esempio: a Milano ci sarà Divya Chandler, neuroscienziata che sta cercando di mappare la coscienza nel cervello per sviluppare algoritmi che possano migliorare il suo monitoraggio, e quindi le cure. E abbiamo progetti ambiziosi, come è stata la scoperta del bosone di Higgs che è stato finanziato da 20 miliardi di euro e al quale hanno lavorato 15mila fisici. La collaborazione e l'interconnessione sono l'unica speranza».

Ma certi progetti hanno scadenze lontane...

«È il punto: la partecipazione per costruire un futuro che non vedremo. Pensi alla colonizzazione di Marte: quando saremo diventati una specie interplanetaria saremo meno ansiosi riguardo ai problemi del nostro pianeta. Si deve far parte di un progetto e costruire sistemi per non contrapporci».

Il futuro siamo noi...

«Sono ottimista: l'entusiasmo per la tecnologia è onnipresente, così come sono onnipresenti la povertà e l'ignoranza. Ma se Elon Musk chiedesse contributi per vivere un giorno su Marte, garantisco che anche dalle zone più disastrate di India, Cina o Sud America arriverebbero dei soldi. È il senso di partecipazione: sai che un giorno qualcuno ci arriverà anche per merito tuo».

La Terra avrà mai pace?

«Sì. Quando diventeremo marziani».

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