da Cannes
Una buona Mostra del Cinema, un inutile polpettone a fare da apripista. Grace inaugura oggi fuori concorso la sessantasettesima edizione del Festival di Cannes, e il meno che si possa dire è che se ne sarebbe potuto tranquillamente fare a meno. Ci sbaglieremo (e del resto questo è il rischio che corre solo chi non si accontenta del senno di poi), ma è difficile e per molte ragioni.
La prima è che, come tutte le biografie liberamente ispirate, ma politicamente corrette, sarà all'insegna equivoca del compromesso. La seconda è che la favola monegasca di Grace Kelly lascia fuori gli aspetti più interessanti di un'attrice che a Hollywood si guadagnò il soprannome di «ghiaccio bollente», per il contrasto fra la sua immagine cinematografica e la sua realtà di donna. La terza è che, al di fuori del glamour da rotocalchi, la sua vita da principessa, finita purtroppo in un incidente d'auto, fu un inno alla noia. La quarta è che l'amore per Ranieri di Monaco resta un mistero su cui il film di Olivier Dahan si guarderà bene dall'indagare.
Naturalmente, distando Cannes un tiro di schioppo da Montecarlo, il marketing festivaliero ha le sue ragioni perché Grace richiami tutte le attenzioni franco-europee e qualcosa in più. Inoltre, c'è Nicole Kidman come protagonista, il che vuol dire la stampa d'oltreoceano sdraiata sulla linea. Sotto questo profilo, il direttore Thierry Fremeau può essere soddisfatto, ma oltre, francamente, non ci sentiamo di andare.
Però, lo abbiamo detto all'inizio, è, sulla carta, una buona Mostra e quindi ci può stare una falsa partenza. Fra i film in concorso ci sono The Homesman, di Tommy Lee Jones, con un cast d'eccezione (lui stesso, Hilary Swank e Meryl Streep); The Search, di Michel Hazanavicious, già premio Oscar con The Artist; i fratelli Dardenne con Deux jours, une nuit, affidato all'interpretazione di Marion Cotillard; Mommy, di Xavier Dolan, la più giovane rivelazione lo scorso anno a Venezia; Jimmy's Hall, del sempre verde Ken Loach. In ultimo, ma non per ultimo c'è poi Jean-Luc Godard con il suo Adieu au langage che se non il divertimento assicura senz'altro il dibattito su incomunicabilità e dintorni.
Nella sezione Un Certain Regard c'è molta attesa per Lost River di Ryan Gosling, al suo esordio dietro la macchina da presa, così come per La chambre bleu di Mathieu Amalric, regista e attore fra i più amati in Francia, mentre fuori concorso c'è il ritorno di Zhang Ymou, il più sontuoso dei cineasti cinesi, con Gui Lai.
E l'Italia? L'effetto Oscar della Grande bellezza di Paolo Sorrentino ci ha fruttato l'affiche del festival, ovvero un Marcello Mastroianni d'antan, gli anni Sessanta di Otto e mezzo, e due proiezioni speciali: Matrimonio all'italiana e Per un pugno di dollari, pellicole restaurate per l'occasione dalla benemerita Cineteca di Bologna. In concorso schieriamo un solo film, Le meraviglie, di Alice Rohrwacher, mentre nel Certain Regard c'è Incompresa, di Asia Argento, attrice discutibile, ma regista non banale, e nella Semaine de la Critique Più buio di mezzanotte, opera prima di Sebastiano Riso. È poco? Calcolando che i francesi, padroni di casa, in concorso ne hanno quattro, ci si può accontentare.
L'insieme, insomma, fa parte di quel mix che negli anni Fremeaux è riuscito ad amalgamare in modo sempre più convincente. Ci sono i registi che piacciono ai cinefili duri e puri (il già citato Godard, ma anche il turco Nuri Bilge Ceylan con il suo Kis Uykusu, e il mauretano Sissasko con Timbuktu); il recupero di generi un tempo di moda (è il caso del western, che oltre a The Homesman vede The Salvation, con Mads Mikkelsen, l'attore danese di La caccia); la presenza di registi solidi e senza la puzza sotto il naso (Mike Leigh, con Mr Turner); una apertura internazionale (28 i Paesi presenti).
Che altro? Ma sì, un pizzico di sciovinismo, ovvero ancora un Saint-Laurent, quello di Bertanrd Bonello, addirittura in concorso, e l'accoppiata Juliette Binoche-Olivier Assayas per Clouds of Sils Maria.Passata Grace, insomma, comincia la festa.
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