Il vero nome è complicato: Umm-El-Banine Assadoulaeff. Lo pseudonimo che si scelse, perfetto: Banine. La vita che visse avventurosa. E la scrittura rocambolesca, come gli eventi in cui si ritrovò sbalzata per tutto il '900: dalla nascita nel 1905 a Baku, capitale dell'Azerbaijan, attraverso la Rivoluzione d'Ottobre, la proclamazione della Repubblica democratica, la dittatura capeggiata dagli armeni, l'occupazione delle truppe britanniche e poi turche, la riconquista del Paese da parte dell'Armata rossa, e intanto la fuga a Istanbul e poi l'esilio a Parigi, dove Banine frequenta Nicos Kazantzakis, Ivan Bunin, André Malraux e Henry de Montherlant (che la spronano a scrivere le memorie del suo Paese d'origine), fino alla morte in Francia, nel 1992, a 86 anni.
Che esistenza. Da romanzo. Che Banine scrisse - fra narrazione storica e mémoire - sotto il titolo Jours caucasiens, uscito a Parigi nel 1945 (nel '42 aveva pubblicato con Gallimard il suo primo libro, Nami) e che oggi viene tradotto in Italia: I miei giorni nel Caucaso (Neri Pozza), con una lettera-prefazione di Ernst Jünger, il quale s'innamorò del libro, letto subito dopo la Seconda guerra mondiale. Diventati amici, Banine ricambiò dedicando allo scrittore tedesco Rencontres avec Jünger (1951) e Jünger aux faces multiples (1989). Ma ormai l'infanzia se ne era già andata... Ti ricordi, Banine?
Eccoli, i ricordi. «Al contrario di certe degne persone, nate in famiglie povere ma a posto, io sono nata in una famiglia per niente a posto ma molto ricca» (il capostipite, Assadullah, nato contadino, morì milionario grazie al petrolio zampillato dal suo campo pieno di sassi).
Eccoli i lunghi giorni nel Caucaso - un racconto che declina l'epica novecentesca nella novellistica da Mille e una notte - in una famiglia «strana, esotica e ricca», la nonna musulmana intransigente (per la quale i cristiani sono solo «figli di cani») che domina il clan riunito ogni estate nella grande casa di campagna, sul mar Caspio, le cuginette già aperte all'occidentalizzazione che spira da Mosca («Per le giovani generazioni si cominciava a preferire la libertà al velo, l'istruzione al fanatismo»), una governante tedesca maestra di torte alla panna e pianoforte, loschi individui, bagni turchi, nuove mode, antiche tradizioni (come la pederastia, rispettata se attiva, disprezzata se passiva), pettegolezzi («Se si dovesse dar credito ai maldicenti non si darebbe mai la mano a nessuno, eccetto che a se stessi»), interminabili partite a carte (il vero vizio delle donne), furenti liti per l'eredità di famiglia e primavere «di una bellezza straziante». Di quelle che solo il Caucaso, e ogni infanzia, conosce.
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