Cultura e Spettacoli

L'islamismo è un virus che corrode l'Europa

L'algerino Boualem Sansal smaschera l'"attacco" inesorabile che stiamo sopportando senza reagire

L'islamismo è un virus che corrode l'Europa

L'allegoria è uno strumento narrativo potentissimo. Chi dimostra di saperla usare con maestria è lo scrittore algerino Boualem Sansal, già noto per la sua recente distopia 2084 - La fine del mondo, pubblicato in Italia cinque anni fa, e ora nelle librerie con Il treno di Erlingen (Neri Pozza, pagg. 224, euro 17; trad. Alberto Folin). L'ammonimento in esergo è molto preciso: «Tu che entri in questo libro abbandona ogni speranza di distinguere la fantasmagoria dalla realtà». In effetti, l'intreccio è complesso e a tratti può perfino apparire cervellotico, ma alla fine tout se tient: i personaggi e le loro azioni, la realtà e la metafora, e fra tutto il tema di fondo principale: l'invasione ineffabile e inesorabile che l'Europa, il Vecchio Mondo, sopporta senza rimedio.

La città tedesca di Erlingen (non esiste nella realtà) è isolata dal mondo, minacciata da un nemico che non si vede mai. Gli abitanti sono in attesa di un misterioso convoglio che dovrebbe venire a prelevarli per metterli in salvo, però sanno che non ci sarà posto per tutti. Con il passare del tempo, né il nemico si palesa, né il treno si manifesta. Tutto è solo un rincorrersi di voci. Il riferimento a Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati è ampiamente dichiarato.

La storia di Erlingen è narrata attraverso le lettere che una tale ricchissima baronessa Ute von Ebert manda a sua figlia Hannah, residente a Londra. Poi le cose si fanno un po' complicate, attraverso un collegamento con gli attentati di matrice islamica a Parigi del 13 novembre 2015.

Una volta chiuso il libro non c'è da stupirsi che l'autore, ex funzionario ministeriale in Algeria, sia stato strapazzato dal governo filoislamico del suo Paese, già facente capo a quel presidente Adelaziz Bouteflika che, pur agonizzante, non avrebbe mollato la poltrona se non vi fosse stato rimosso a calci metaforici dalle manifestazioni di piazza.

In poche parole, Sansal non è benevolo con l'Islam. Non lo è neanche con l'Europa, a dire il vero. «Esiste ancora l'Europa? Non lo credo, e a dire la verità non è importante», scrive la protagonista. E anche: «L'invasore è dovunque e in nessuna parte: è qui il grande mistero di tutta la faccenda». Rifacendosi a Franz Kafka, lo scrittore algerino si concentra sul concetto di metamorfosi, applicandola ai cambiamenti di gran parte della popolazione mondiale, là dove «l'invasore, che sembrerebbe possedere l'arte del camaleonte, sa confondersi con il paesaggio, ma sa anche fare in modo che il paesaggio si confonda con lui, rendendo impossibile qualunque localizzazione. Allo stesso modo, l'islamismo provoca una curvatura dello spazio-tempo, ed è questo fenomeno invisibile a trascinarci in fondo...».

Non può non venire in mente Michel Houellebecq quando si legge che il tempo dei barbari è arrivato quando si uccide perché è Dio a ordinarlo e l'unica reazione, dall'altra parte, è la sottomissione. Per quieto vivere, si praticano l'autocensura e il doppio linguaggio «secondo i migliori intendimenti del politicamente corretto». Al tempo dei barbari si contrappone il tempo dei vili.

Inoltre, sempre facendolo dire dalla bocca (anzi, dalla penna) dei suoi personaggi, Boualem Sansal srotola le sue considerazioni sul fatto che i pilastri della nostra civiltà, Stato, Mercato, Religione e Natura sono corrosi alla base dalla mondializzazione, dal materialismo dei nuovi schiavi salariati, dal modernismo artificioso, dall'incuria delle élite e che, rispolverando Henry David Thoreau, «le religioni corrompono gli uomini come l'inquinamento corrompe la natura». Vorrebbe che la filosofia di Thoreau ci aprisse gli occhi per sradicare in noi quella sottomissione, la «servitù volontaria» di La Boétie.

Il tono apocalittico di questo romanzo allucinante, denso, stratificato, intriso di un incombente mistero, conduce all'attesa di una salvezza che rischia di arrivare fuori tempo massimo. Gli abitanti della fantasmagorica Erlingen sono come i commilitoni del luogotenente Drogo di Buzzati, intrappolati nella fortezza Bastiani, al cospetto di un nemico che non possono combattere perché è senza volto e inafferrabile.

Quando, anche di recente, Sansal paragona l'islamismo al virus, non fa che ampliare la sua metafora: sempre di qualcosa di impercettibile si tratta, qualcosa che talvolta è più facile negare che affrontare, perché aggrapparsi a una menzogna è pur sempre più comodo che il dover scegliere fra diverse verità, con il rischio di non sposarne più nessuna, salvo cedere a quella della violenza fanatica definitiva.

Il nichilismo ci perderà.

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