Cannes. Delle due sorelle Bruni, Valeria e Carla, a lungo si è pensato che la prima, la più grande, fosse quella intelligente e la seconda quella bella. Era un giudizio parziale, ma rendeva l'idea: è bella anche Valeria, è intelligente anche Carla, ma...
Quando quest'ultima si unì in matrimonio con Nicolas Sarkozy, allora fresco presidente della Repubblica, c'è chi pensò che quel giudizio andasse rivisto: per farsi sposare dal politico più potente di Francia, e avendo un passato da mangiatrice di uomini, la bellezza non bastava, ci voleva una intelligenza, magari machiavellica. Adesso però che Carlà, con l'accento sulla a, come la chiamano i francesi, è soltanto una prèmiere ex dame che si ostina a miagolare canzoni, la pendola dell'interesse è tornata a ruotare verso Valeria, giunta intanto alla sua terza regia, per non parlare della sua intensa attività di attrice.
L'autobiografico Un Chateau in Italie, presentato ieri in concorso, con un assalto di pubblico per assistere alla proiezione in cui l'interesse per l'intelligenza, si combinava, evidentemente, con il fascino per la bellezza (detto in altri termini, chi incarnava la prima avrebbe regolato i suoi conti con il simbolo rappresentato dalla seconda?) è un'operina molto intellettuale, molto psicologica, e un po' parziale, visto che di Carlà nella pellicola non c'è traccia. È il racconto di una famiglia italiana (l'origine dei genitori di Valeria Bruni Tedeschi è piemontese, e lei stessa è nata a Torino), progressista e di sinistra come buona parte della borghesia branchée dell'epoca, gli anni Settanta, che si trasferisce in Francia per paura di un sequestro politico (anche per le Brigate Rosse, la «sinistra al caviale» non era il massimo).
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