Oggi non c'è argomento più dibattuto (e digitato) delle fake news. Tutti ne parlano, ovviamente per dirne peste (ecco, appunto...) e corna (idem...). Eppure, anche le «bufale» sono qualcosa di drammaticamente serio, anzi quasi letale, se contro di esse non si prendono le opportune misure di distanziamento sociale, o per meglio dire, social, e soprattutto se chi ne viene investito non possiede solidi anticorpi razionali. Raccomandando le prime e confidando nei secondi, rivolgiamoci a chi davvero se ne intende, di fake news. Anzi, a chi le ha per la prima volta smascherate. E conseguentemente, in un certo senso, inventate come degenerato genere praticato da grafomani e ciarlatani.
Eccolo qui, spuntato casualmente dallo scaffale in alto della libreria di casa, lassù dove non osano nemmeno le aquile. Lì pone mano soltanto l'annoiato auto-recluso, mosso da un vaghissimo desiderio di pulizie primaverili, facendo una piacevole riscoperta e poi una illuminante scoperta. Dunque, il Nostro esperto si chiamava Luciano e nacque, intorno all'anno 120 dopo Cristo, a Samosata, città che sorgeva in corrispondenza dell'attuale Samsat, in Turchia. Di origine siriana, il greco in cui scriveva non era puro, quindi lo irrobustiva con il dialetto attico, assai comune, durante la Seconda sofistica. Infatti lui era un tipico esemplare di sofista, maestro di eloquenza e di retorica, che esercitò in qualità di conferenziere, ambasciatore, avvocato e narratore. Tuttavia era anche un grande ammiratore di Epicuro, quindi, pur eccellendo nel giocare con le parole, gli piaceva restare ancorato ai fatti.
A cadere nelle mani del suddetto auto-recluso è stata la sua più nota operetta, Storia vera. Già il titolo è sia fake, sia news, nel senso che è sia bugiardo, sia una notizia, anzi una succosa anticipazione, letterariamente parlando. Quanto alla falsità, lasciamo la parola all'Autore: «Scrivo dunque di cose che non vidi, né v'ebbi parte in alcun modo, né seppi da altri; aggiungi pure che non esistono assolutamente e che non possono in nessun caso aver luogo. E farà bene il lettore a non crederci affatto». Una sequela di negazioni che serve, retoricamente, a incuriosire il pubblico. E la notizia? Niente meno che il primo viaggio dei terrestri sulla Luna, descritto con modalità quasi surrealiste. Ma in Storia vera c'è molto altro, quindi lasciamo, a chi lo volesse provare, il piacere di addentrarsi in questo frullato di proto-fantascienza condito da reminiscenze e citazioni dall'Odissea (la storia, infatti, è quella di un lungo viaggio), di temi biblici come la balena in cui finisce Giona, di teratologia ammansita e resa pop con esiti che prefigurano Alice nel Paese delle Meraviglie o Il mago di Oz. E limitiamoci a notare che Luciano, in questa trentina di pagine, fa con i testi che definisce «prodigiosi» e «favolistici» dei vari Ctesia di Cnido, Giambulo e Omero, benché con intenti parodistici, la stessa operazione che molti secoli dopo faranno Ariosto e Cervantes con i cicli carolingio e bretone: una rilettura e una mutazione genetica.
Insomma, Luciano di Samosata era un bulimico consumatore di fake news antiche. Ma a noi qui interessa soprattutto in quanto fakebuster, cacciatore di fake. Per questo, dopo la sua Storia vera, riletta a distanza di decenni, siamo andati a leggere per la prima volta (in rete se ne trova più d'una versione in italiano) un'altra sua breve opera, molto meno nota: Alessandro o il falso profeta. È un libello, un pamphlet, un j'accuse, un monito a guardarsi dai millantatori, dai truffatori, dagli impostori che possono indirettamente diventare, nella peggiore delle ipotesi, assassini. L'Alessandro contro il quale si scaglia Luciano è un suo contemporaneo, originario di Abonutico, città turca della Paflagonia, affacciata sul Mar Nero. Bello e senza scrupoli, in gioventù è una specie di «ragazzo di vita» pasoliniano, ma, dopo la morte dell'amico che lo manteneva, deve ingegnarsi, per continuare a campare senza lavorare. Così, s'inventa... oracolo a pagamento. Il colpo di genio consiste nel parlare per bocca di una presunta manifestazione del dio Asclepio. Si tratta in realtà di un ingegnoso manufatto, un serpente imbalsamato con tanto di bocca che si muove, tipo il Provolino di Raffaele Pisu. Il suo interprete lo battezza Glicone, new entry nel caravanserraglio pagano. In breve, abusando della credulità popolare Alessandro fa soldi a palate, in patria e all'estero. Anche a Roma, dove fra i suoi clienti-seguaci ci sono dei pezzi grossi, come Rutiliano, «uomo per il resto valente, che aveva ricoperto con onore molte cariche», lo descrive Luciano.
Fino a qui resteremmo nel campo della farsa o del grottesco. Ma ecco il risvolto drammatico del delirio di onniscienza fake dell'ex puttanello. Scrive Luciano che Alessandro, durante l'imperversare a Roma della peste, detta antonina dal patronimico dell'imperatore Marco Aurelio, invia «un oracolo, anch'esso autofono, a tutte le popolazioni vittime della peste; era composto di un solo verso: Febo chioma intonsa di peste il nembo respinge. Ed era possibile vedere dappertutto questo verso scritto sulle porte, come antidoto contro la peste. Ma la cosa per i più andò a finire al contrario: per una sorte singolare furono spopolate soprattutto le abitazioni sulle quali era stato scritto il verso. E non credere che io intenda dire che morirono a causa di esso: ma per un qualche caso avvenne così. Forse i più, fidando nel verso, si lasciavano andare a un comportamento troppo spensierato, non aiutando affatto l'oracolo contro la malattia, poiché pensavano di avere delle parole che combattevano per loro e Febo chioma intonsa che avrebbe allontanato la peste con le frecce». Letto nella condizione in cui siamo, questo passo rincara la nostra dose quotidiana di inquietudine, se pensiamo ai contemporanei negazionisti del virus e a ciò che potrebbero architettare. Ma forse è meglio non rimuginarci su troppo e voltare pagina. Non prima di aver ringraziato il buon Luciano per averci messo in guardia.
Resterebbe da porsi una domandina: questo Alessandro di Abonutico è davvero esistito? In Le nozze di Cadmo e Armonia, Roberto Calasso se lo chiede, prima di riassumere il libello di Luciano. E risponde: «Alcune gemme, alcune monete, alcune iscrizioni lo confermano. Ma, a parte quelle immagini silenziose, la sua vita ha lasciato traccia soltanto nello sfrenato pamphlet di Luciano contro di lui.
Dobbiamo credere a Luciano? È difficile dirlo, ma la pura forza della letteratura ci trascina». Morale: quand'anche Alessandro di Abonutico fosse un'altra fake news di Luciano di Samosata, sarebbe una fake news a fin di bene. Di più, quasi un vaccino.
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