Müller va a rianimare Roma Una missione (im)possibile

Müller va a rianimare Roma Una missione (im)possibile

È ufficiale: Marco Müller è il nuovo direttore artistico del Festival Internazionale del Film di Roma, da ieri nella fase ultima del processo di de-veltronizzazione, iniziato da mesi all’Auditorium e non solo. «Usciamo da tre mesi di “bella confusione”, che può apparirci come la forma del nostro tempo», ha detto ieri il cinquantottenne neo designato, che per volere del consiglio d’amministrazione della Fondazione Cinema per Roma - composto da Michele Lo Foco (comune di Roma), Salvatore Ronghi (Regione Lazio), Massimo Ghini (Provincia di Roma), Andrea Mondello (Camera di Commercio) e Carlo Fuortes (Musica per Roma)-, prende in mano la patata bollente d’una kermesse in cronico affanno. Pesa, infatti, il buco in bilancio di 2 milioni che va ripianato prima d’ipotizzare il lancio in grande stile d’una piattaforma cinematografica in grado di competere sul mercato internazionale. Produttore di Oscar (No Man’s Land) e a capo della Mostra di Venezia per otto anni di successo ininterrotto, «il cinese», com’è chiamato a Roma per via della sua vocazione orientalista (dottorato di Stato in Cina negli anni Settanta, sulla scorta d’una passione per Mao), in questi mesi di tira e molla ha ingoiato diversi rospi. Dall’impuntatura dell’ultranovantenne Gianluigi Rondi, restio a lasciare la sua carica di Presidente, poi conferita a Paolo Ferrari (ex-boss della Warner), alla querelle sul suo compenso (150mila euro all’anno, cifra superiore a quella corrisposta all’uscente Piera Detassis), il manager ha tenuto duro. E c’è scappato pure un paragone con «l’omino di piazza Tien an Men contro i carrarmati», sfornato dal produttore Pietro Valsecchi. «Faremo un festival capitale per la Capitale. Sono quello che ha reinventato Locarno e sdoganato il cinema americano, dialogando con i cineasti indipendenti», auspica Müller in visita di cortesia agli uffici dell’Auditorium, subito dopo la nomina.
Ma chi è l’imprenditore svizzero di festival, che i più conoscono dalle foto ufficiali mentre, abbigliato come un mandarino in tuxedo Armani (suo stilista), dà Quentin Tarantino in pasto alla folla? Müller, nei Settanta, militava in Avanguardia Operaia, salendo le scale dell’Università romana La Sapienza col Libretto Rosso di Mao in una tasca della giacca di tela blu da operaio cinese e un testo di meditazione zen nell’altra. Più che marxista-leninista, lui si definisce «zeninista», ma la tendenza a «servire il popolo» scorre nelle sue vene, come testimoniano le serate gratis di cinema da lui organizzate a Barbarano Romano, paese dove ha casa l’amico Marco Bellocchio. Né l’uomo disdegna di recarsi nelle più ruspanti sale di Cura di Vetralla, nel Viterbese, magari per gustare una commedia all’italiana.
Due matrimoni alle spalle (con Marie-Pierre Duhamel e con Bianca Fiorillo) e molti nemici nell’ombra, Müller ha il sufficiente pelo sullo stomaco per fare del Festival di Roma fin qui tendente al basso profilo qualcosa di alto e soprattutto di altro: «Penso a un festival che superi gli 11 giorni, con una sezione estiva a Massenzio. E che unisca cinema d’autore a cinema commerciale». Stando a indiscrezioni capitoline, Müller avrebbe già in tasca Djiango Unchained, l’ultimo film di Quentin Tarantino, che potrebbe accompagnare a Roma il suo western con DiCaprio.

Né sarebbe l’unica sorpresa di un cartellone costruito in fretta e in segreto: mentre tutti facevano muro contro muro, Müller si aggirava tra Mumbai, Rotterdam e Berlino per acquisire titoli ghiotti. Venezia è avvertita: dal 18 al 26 ottobre, focus sulla Città Eterna.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica