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“Madres Paralelas”: Almodovar ricicla se stesso, senza convinzione, nel film d'apertura a Venezia 78

Memoria storica, maternità, solidarietà femminile e libertà sessuale si mischiano in modo poco incisivo in un film che somiglia più a una telenovela d’autore che a un mélo riflessivo

“Madres Paralelas”: Almodovar ricicla se stesso, senza convinzione, nel film d'apertura a Venezia 78

Con buona pace di Pedro Almodovar, già insignito del Leone d’Oro alla Carriera due anni or sono, il suo Madres Paralelas, film d’apertura della 78esima Mostra del Cinema di Venezia, quasi non meriterebbe di essere in concorso se non fosse perché partorito da un tale maestro. Dopo il cortometraggio “The Human Voice”, piccolo capolavoro con protagonista Tilda Swinton con cui ci aveva deliziati, sempre al Lido, durante la scorsa edizione, quest’anno Almodovar regala alla kermesse un film su cui calza a pennello quanto sentenziato da uno dei personaggi ad un certo punto della trama: “hai complicato troppo le cose”.

“Madres Paralelas” ripropone non solo i temi più cari della filmografia del cineasta spagnolo ma anche le interpreti più rappresentative (come Penelope Cruz, Rossy De Palma, Aitana Sanchez-Gijon e Julieta Serrano), eppure siamo lontanissimi dagli antichi fasti. La presentazione scritta ufficiale di una pellicola, in certi casi, amplifica semplicemente il gap tra aspettativa e realtà.

Superato un breve e ostico incipit, si entra nel vivo del film in cui due partorienti, la quarantenne Janis (la Cruz) e l’adolescente Ana (Milena Smit) condividono la stanza d’ospedale. Entrambe single, hanno vissuti diversissimi ma sviluppano un forte vincolo emotivo. Dopo aver dato alla luce due bambine nelle stesse ore, se le vedono portare via per accertamenti. Trascorso il breve periodo di osservazione, ognuna torna a casa con la propria neonata e con la promessa di tenersi in contatto. Qui inizia un melodramma da camera che resta ostaggio di un “segreto” che in realtà, già dall’inizio, è quasi una verità rivelata, anche se non ad alta voce.

Più della trama, complicata ma in maniera posticcia come si converrebbe ad una soap opera, convince l’affresco di figure femminili. Nel passare in rassegna tanti volti diversi dell’essere donna, Almodovar è attento a non esprimere giudizi di sorta e a sottolineare quanto di sacrosanto già enunciato vent’anni fa nel suo “Tutto su mia madre”: “Una è più autentica quanto più assomiglia all’idea che ha sognato di se stessa”. In “Madres Paralelas” tale concetto viene contaminato con quello di maternità, laddove il partorire è ritratto come gesto evolutivo in grado di liberare l'essenza peculiare di ogni donna. C’è quindi la madre anaffettiva che alla soglia della mezza età riesce finalmente a dare alla luce il suo unico oggetto d’amore, cioè se stessa, c’è la minorenne che nell’avere un infante si scopre adulta e dall’accudimento responsabile e così via.

Il problema sorge quando, in mezzo a queste sempre interessanti declinazioni dell’Eterno Femminino, si inseriscono argomenti nobilissimi ma assai disparati che spaziano dalla memoria storica alle mancate denunce di ricatti sessuali.

“Madres Paralelas”, considerate le ambizioni di partenza, rimane schiacciato forse proprio dal volere impastare assieme colori tra loro stridenti. Se voleva essere un’ode al matriarcato, come sembra di intuire, l’intenzione non è divenuta realtà; funziona più come spot di un laboratorio di genetica fai da te. Difficile poi ravvisare scene efficaci e da ricordare; anche il finale, sulla soglia di una fossa comune, appare un po’ troppo ricattatorio tra musiche evocative e sommessi singhiozzii.

Ci sono, inoltre, alcune contraddizioni narrative. Una addirittura invalida in parte la comprensione dell'intera trama e riguarda il repentino cambio d'idea sul da farsi che la protagonista sfoggia nel momento clou; anche in seguito non ne viene suggerita giustificazione. L’irrompere, poi, di un’attrazione fisica fino a quel momento insospettabile tra due personaggi principali resta un mistero: si assiste alla genesi di una famiglia arcobaleno, alla semplice rappresentazione di una sessualità fluida o si allude al fatto che le donne si bastino tra loro? Può darsi che in conferenza stampa il regista abbia illuminato i punti oscuri e giustificato l’esistenza di momenti che sono parsi semplicemente noiosi, ma resta l’impressione che un’opera, per dirsi riuscita, dovrebbe comunicare l'essenziale da sola.

“Madres Paralelas”, invece, dà l’impressione di un film arruffato e stanco, nel quale ciò che sporadicamente ricorda l’Almodovar migliore funziona da mero camouflage correttivo su passi falsi difficili da rendere invisibili.

Sul significato della genitorialità (al netto della disamina sull'altra metà del cielo), vale la pena riscoprire "Father and Son" di Kore'eda Hirokazuanche, un dramma misurato e toccante già Premio della Giuria a Cannes nel 2013.

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