Le «maratone» di Feldman tra musica e pittura

Spiegava il compositore americano Morton Feldman (1926-87): «Tutta la mia generazione è nata con pezzi di 20-28 minuti. Quando abbandoni i pezzi da 25 minuti per un pezzo unico sorgono i primi problemi». A fine carriera i minuti erano aumentati. Nel 1983 scrisse il suo Secondo quartetto: durata cinque ore e mezza (7929 misure-battute). Con la sua corrosiva ironia a chi gli chiedeva le ragioni del suo comporre, citava il Primo Ministro della Regina Vittoria, Benjamin Disraeli, il quale alla domanda perché scrivesse romanzi, rispondeva «Perché non c'è nulla da leggere. Io riguardo alla musica contemporanea mi sentivo così» (vale la pena leggere i suoi Pensieri verticali, Adelphi, 2013). Per la sua musica-maratona, Feldman diceva: «dopo un'ora si pensa alla forma; dopo un'ora e mezza alla scala. La forma è facile dividere le cose in parti. La scala è un'altra cosa: richiede un alto grado di concentrazione». Invece di «oggetti» nascono «cose coinvolgenti». Ascoltato nella penombra suggestiva di una sala liberty del Museo Oceanografico di Monaco (quest'anno il Printemps des Arts di Monte Carlo è dedicato a Charles Ives e altri americani). Sedie a sdraio. Pantofole ai piedi. Buffet.

Concentrazione ce ne vuole molta, per l'ascoltatore (che per altro può schiacciare pisolini, meditare, trascendere) e per gli interpreti, il Quartetto Béla. Però Feldman, amico degli espressionisti astratti (Rothko e Co.), nel frattempo ha condotto l'ascoltatore dove voleva: fra «tempo e spazio. Tra pittura e musica. Tra costruzione della musica e la sua superfice».

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