C’era quel bel film di Dino Risi, diciamo l’Operazione San Gennaro che replicano senza pietà da quarant’anni. Oppure un qualche Piedone con Bud Spencer, qualcosa di Neri Parenti o ancora gli sketch con Bombolo. Ciascuno nella propria memoria ha per forza un Enzo Cannavale, un caratterista così autentico da riuscire a piegare il proprio carattere a ciascun ruolo e, soprattutto, a recitare ruoli che dopo nessuno sarebbe più stato in grado di recitare allo stesso modo. E’ morto ieri nella sua Napoli pochi giorni prima di festeggiare gli 83 anni, era assente dalle scene più o meno da un anno: aveva recitato, e qui la smorfia napoletana qualcosa dovrà pur spiegare, in un episodio de I delitti del cuoco di Alessandro Capone che si intitolava I morti non fanno paura.
Quando si dice il destino. Enzo Cannavale ha fatto molto ridere, da vivo, ha divertito specialmente quella generazione di nati tra gli anni Quaranta e Sessanta che nella sua recitazione autentica, di sapienza innata e popolana, ha scoperto, non avendo altre possibilità, la battuta grezza eppure recitata in modo sofisticato, l’improvvisazione furibonda e ineguagliata (lui e tutti i napoletani, da Totò in giù, sul set improvvisavano che è un piacere), e i personaggi che erano noi, sì noi italiani con gli spaghetti al dente e un partigiano come presidente, con l’abito della festa e la canottiera in cucina, furbi sì ma senza smettere di esser romantici, e lavativi in tutto tranne che nelle cose che contano.
Enzo Cannavale, un po’ bassetto, i capelli mai visti sulla fronte, un volto neorealista che inevitabilmente piacque a Pietro Germi (lo volle in Alfredo Alfredo del 1972) e una verve che Eduardo De Filippo, mica uno qualunque, fece esordire a teatro nel 1959 in Sogno di una notte di mezza sbornia, dunque Enzo Cannavale non era l’attore che faceva il film, lui sempre defilato per vocazione e pigrizia, ma era l’attore che gli dava carattere perché dominava il ridicolo, ne diventava più forte, e conservava quel candore adolescente che persino nelle commedie in giarrettiere e buchi della serratura, già quelle dei Corbucci o dei Samperi che avevano titoli pazzeschi come La signora gioca bene a scopa? oppure John Travolto da un insolito destino o ancora Tutta da scoprire, riusciva ad arginare lo sbracamento, era insomma il furiere di buon senso in una caserma di colonnelli bavosi.
Ovviamente, nonostante le tournèe con De Filippo o Aldo Giuffè, i film con Nanni Loy e Marco Ferreri, il Nastro d’argento come miglior non protagonista nel dimenticabile 32 dicembre di De Crescenzo e persino un pezzo di Oscar per Nuovo cinema Paradiso di Tornatore, si è preso la sua bella dose di pernacchie della critica e di indifferenza della sua Napoli, i primi, i critici con il pedigree rigorosamente radical chic, indispettiti dalla ferocia bonaria e popolana della sua recitazione e dei copioni nei quali la disperdeva.
E la seconda allora troppo impegnata, vuoi mettere, a lavarsi via la napoletanità per celebrarne gli eroi come lui che, da Castellamare di Stabia 5 aprile 1928 fino a oggi, l’hanno esaltata con quella comica schiettezza o la buffa, tragica cortigianeria che ti insegnava la miglior scuola di recitazione di Napoli, la strada con la sua gente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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