Per non dimenticare i centocinquanta anni dalla morte di Saverio Mercadante, una delle ultime glorie della scuola napoletana, nato ad Altamura nel 1795 e morto a Napoli nel 1870, avevamo ricordato in una rubrica recente sul nostro quotidiano una sua stupenda caricatura. L'autore, Melchiorre Delfico, un nostrano Nadar che sembra il maestro di Tullio Pericoli, lo presentava spaparacchiato sulle partiture delle sue opere, una poltrona operistica sintesi di una vita: Il giuramento, La Vestale, Medea, Orazi e Curiazi, sotto il gomito, a mo' di bracciolo; Il reggente, I Normanni a Parigi, sotto le terga; l'esito forse migliore, Il bravo e gli sfortunati Briganti, schienale dietro le spalle; Elisa e Claudio, Le due illustri rivali, Elena da Feltre, Donna Caritea, sparse come cuscini-puntelli.
Intorno al centenario della morte, nel 1970, alcuni di questi titoli trovarono riesumazioni a Siena e nella natia Altamura, a Venezia, Napoli e Roma, utili per una riconsiderazione del caso Mercadante, a partire dalle speranze sollevate dalla ripresa del Giuramento al Festival dei due Mondi di Spoleto, auspice il patron Gian Carlo Menotti, realizzatore Thomas Schippers, lo yankee che aveva in tasca un raro talento operistico-direttoriale.
Una Mercadante-Renaissance non ne seguì, ma una seria riflessione sì, caldeggiata da studiosi come Giovanni Carli Ballola, che ha riassunto i meriti di Mercadante nell'opera italiana romantica, citando i precetti che l'erudito storico-bibliotecario del Conservatorio napoletano di San Pietro a Majella, Francesco Florimo, diede al giovane operista: «Variate le forme, bando alle cabalette triviali, esilio ai crescendo, tessitura corta, meno repliche, qualche novità nelle cadenze, curate la parte drammatica, orchestra senza coprire il canto, tolti i lunghi a soli nei pezzi concertati che obbligano le altre parti ad essere fredde a danno dell'azione, poca gran cassa e pochissima banda».
Precetti che si ritrovano in tutte le opere dell'aristocratico Mercadante, serie e anche comiche, come nei Due Figaro, sequel raffinato delle Nozze di Figaro di Mozart, impeccabilmente riproposto da Riccardo Muti a Salisburgo e Ravenna nel 2011. Opera che reca il suggello dell'Autore: orchestrazione cristallina, sdegnosa di formule cadenzali trite, invenzione melodica delicata e mai banale, raffinato equilibrio fra strumenti obbligati e canto - non si dimentichi che Mercadante scrisse musica strumentale e cameristica idiomatica per gli strumenti che impiega, voce umana compresa.
Purtroppo le riprese moderne di Mercadante non hanno avuto la fortuna di godere di voci illuminanti che forse avrebbero eccitato all'imitazione le generazioni successive, consegnando le riesumazioni a nuovo oblio. E quanto siano importanti gli interpreti lo conferma l'ascolto di un raro frammento inciso da Renata Scotto e Mirella Freni, sotto la direzione del marito della prima, Lorenzo Anselmi, del finale delle Due illustri rivali (Leggo già nel vostro cor). Si rimane incantati dall'arte canora delle nostre due grandi soprano rivali e dalla musica. Il tutto a prescindere dal capire di e in che cosa siano rivali, Bianca regina di Navarra ed Elvira, figlia di Gusmano principe di Pardos in una Pamplona goticheggiante. Il cuore della vicenda è manco a dirlo il duetto fra le due donne nel secondo atto. Elvira però nel precedente atto è morta di crepacuore. «Né sapremo mai come e perché nell'atto secondo, all'accostarsi dell'amato Armando di Foix venuto a toglierle l'anello dal dito, si scopra invece a lui, e a noi, viva e vocale», come riassume un testimone oculare delle riprese mercadantiane, Fedele d'Amico. Poi nel sepolcreto appare Bianca distrutta dal rimorso di averne causato la morte con nozze forzate, la quale confessa il delitto e la propria gelosia. Nel frattempo Elvira continua a fare la defunta cantando. «Ne nasce dunque un duetto che in realtà consta di due monologhi sovrapposti l'uno a commento dell'altro».
Ma l'assurdo non è finito. Uscita di scena Bianca, Elvira sente l'organo e la voce del padre che piangono la sua morte: «la povera defunta», narra una gazzetta dell'epoca, «che poco prima v'era andata sulle spalle di quattro, ora va' in chiesa con i suoi piedi, e sconcerta così le preghiere da morto, dandosi a conoscer per viva». Nonostante l'inverosimile funerale post sepoltura l'opera fu esaltata anche grazie a rivali vocali come Carolina Ungher e la futura moglie di Verdi, Giuseppina Strepponi, al basso prediletto dal marito Verdi, Ignazio Marini e al tenore «dalla bella morte», il pallido e appassionato Napoleone Moriani, allora amante della Strepponi.
Mercadante rimane musicista per musicisti che necessita nuove Scotto e Freni,
nuove Ungher e Moriani, proprio perché, come scriveva d'Amico, non conoscendo «folgorazioni comunicative di caste dive, di furtive lacrime, di amami Alfredo, su questa base è stato assassinato un secolo fa dal plebeo Verdi».
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