«Mercato e qualità? Tenerli insieme oggi è impossibile»

Il direttore presenta la «sua» (ultima?) mostra del cinema di Venezia Con quattro film italiani. «Ma non significa che il nostro cinema stia bene»

Direttore Alberto Barbera, la Mostra del cinema inizia tra cinque giorni. Come sta? Preoccupato? Rilassato?

«Rilassato come chi pensa che il più è fatto. Il programma c'è. Il peggio è passato».

Ora deve passare la Mostra.

«Sì, ma sono tranquillo. Mi hanno sorpreso, in positivo, le reazioni alla selezione di quest'anno, sia della stampa italiana sia di quella internazionale. Forse abbiamo fatto davvero un bel lavoro, chissà...».

Jake Gyllenhaal, protagonista di Everest, il film d'apertura, ha detto: «Niente di meglio di un film sulla più grande vetta del mondo per aprire il più grande festival del mondo». S'inizia bene...

«Una battuta benaugurante».

Dicono che Everest sia grandioso.

«Lo vedrete. Ricorda molto i film catastrofici anni Settanta, ma con l'efficacia, le novità tecniche e la credibilità che i nuovi mezzi digitali offrono al cinema: ti sembra di essere lì a 8mila metri. Ma non capisci se la scena è girata in studio o in quota».

A proposito di film grandiosi. Qualcuno vi accusa di portare a Venezia pochi film americani. Però nelle ultime due edizioni avete preso Gravity e Birdman . Due bombe.

«Sì, anche perché è sempre più difficile portare grandi pellicole americane qui a Venezia, ma come a Cannes del resto. Gli Studios hanno da tempo cambiato le strategie di marketing: non pensano più che i festival siano tappe imprescindibili nella promozione di un film. Uno come Christopher Nolan ha detto che non porterà mai un suo film a un festival. Le Major ormai sentono di poter fare a meno di noi. Ecco perché Gravity o Everest sono bei colpi».

Poi però il Leone d'oro va a coreani e Piccioni ... Vado a ritroso: 2014 Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza , 2013 Sacro GRA , 2012 Pietà di Kim Ki-duk, 2011 Faust di Aleksandr Sokurov. Film per pochissimissimi.

«E lo so... questo purtroppo... Sono convinto che il direttore di un festival finisce il proprio lavoro con la selezione, poi le giurie sono autonome. Il fatto è che le giurie devono trovare un linguaggio tra visioni e culture diverse, e spesso prevale il compromesso perché hanno sensibilità troppo diverse... Ma poi, dico: qualcuno si ricorda forse il verdetto di una giuria che abbia soddisfatto tutti, un verdetto “oggettivo”, condivisibile, a riparo dalle critiche? Io no... L'anno scorso ho assistito senza aprire bocca alla riunione della giuria. E tra nove persone nessuna si è spesa per Birdman e per Michael Keaton. Eppure erano tutti addetti ai lavori. Coincidenza? Caso?».

Mercato e ricerca: è possibile un punto di equilibrio?

«Una volta sì. Nel cinema classico americano o in quello italiano degli anni '60 Fellini e Antonioni coesistevano con Totò e Sordi. C'era un equilibro naturale all'interno dell'industria cinematografica. Ora si è perso, e temo per sempre: la distanza tra cinema d'autore e cinema destinato al grande pubblico si è fatta incolmabile. Il fatto è che una volta il produttore di Fellini e dei film di Sordi era lo stesso. Oggi invece c'è una divisione netta tra cinema per cinefili e cinema da botteghino».

Parliamo degli italiani: quattro film in concorso, di Marco Bellocchio, Luca Guadagnino, Pietro Messina e Giuseppe Gaudino. Un segnale forte per il cinema italiano, certo. Ma non significa che il cinema italiano stia bene. Giusto?

«Giusto. Il nostro cinema non sta bene, per tanti motivi: disaffezione del pubblico, difficoltà a reperire risorse, un sistema “ingessato” nonostante il miglioramento degli incentivi pubblici... Insomma: nel giro di due anni siamo passati da 120 a 250 film italiani prodotti all'anno. Più del doppio, ma con gli stessi soldi di prima: è chiaro che si è perso qualcosa. Cioè la qualità. Purtroppo non è la quantità che fa lo stato di salute del cinema. Poi c'è l'altra faccia della medaglia. Prendiamo i nove film italiani di Venezia, tra quelli in concorso, fuori concorso e nella sezione Orizzonti . Diversissimi tra loro, hanno però in comune una cosa: quella di essere film che escono dalle convenzioni del cinema italiano di oggi, che è la commedia, tra commediole e commediacce... I nostri invece sono film che sperimentano, creano, cercano. È la parte vitale del nostro cinema, quello che è ancora capace di rischiare».

A proposito. Come sta il maestro Bellocchio?

«È incredibile. Ha fatto una cosa sorprendente per la sua età: un film con la maturità espressiva del grande autore ma con la freschezza di un esordiente... Capace di passare da un registro all'altro, giocare coi toni... Sorprendente».

Ho capito. Vince lui.

«Sono anni che ci spera, e non ha mai vinto... Non so. Glielo auguro».

Cinema e realtà: a Venezia ci sono più titoli ispirati alla cronaca che di pura fiction. Caso o tendenza?

«Forse una tendenza, perché rifarsi alla realtà è una cosa che vale per autori di tutti i Paesi del mondo. Cosa significa? Scarsa fiducia nella fantasia? Incapacità di creare mondi alternativi? Non so. Forse è un bisogno autentico di fare i conti con una realtà così drammatica che a volte sembra sfuggirci».

Quest'anno scade il suo mandato, e quello del presidente Paolo Baratta. Cosa succede? Venite sostituiti o riconfermati?

«La risposta migliore l'ha data Baratta qualche giorno fa dicendo che gli incarichi pubblici né si chiedono né si rifiutano. In teoria tutto può succedere».

La 72ma Mostra Internazionale di Arte Cinematografica, guidata dal duo Alberto Barbera, il direttore, e Paolo Baratta, il presidente, si svolgerà a Venezia dal 2 al 12 settembre. In concorso, a contendersi il Leone d'oro, 22 film. Quattro gli italiani in gara: Marco Bellocchio con «Sangue del mio sangue», Giuseppe Gaudino con «Per amor vostro», Luca Guadagnino con «A Bigger Splash» e l'esordiente Piero Messina con «L'attesa».

Tra le varie sezioni, in programma 55 lungometraggi e 16 corti, scelti da oltre 3193 opere visionate. Film d'apertura, fuori concorso, «Everest» di Baltasar Kormakur. Il Leone d'oro alla carriera è assegnato quest'anno a Bertrand Tavernier.

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