Luca Beatrice
Il pittore è il miglior amico del cane? Si direbbe di sì, a giudicare da quante volte l'animale che noi tutti consideriamo il compagno più fedele, è stato ritratto, immortalato, omaggiato nella storia dell'arte. Dai primordi, già nell'epoca pompeiana attraverso il celeberrimo Cave Canem, mosaico del I secolo a.C. conservato al Museo Archeologico di Napoli, fino alle rappresentazioni contemporanee, fotografia, cinema, fumetto.
Un'idea semplice quella di Fulco Ruffo di Calabria, auspicata da qualsiasi cinofilo: dedicare una grande mostra d'arte al cane, non in un posto qualunque ma all'interno della Reggia di Venaria, vicino a Torino, che fu il settecentesco teatro di caccia dell'aristocrazia sabauda. Proprio in quell'epoca, infatti, la pittura si stava affrancando dalla committenza religiosa, consentendo così il divulgarsi di generi più prosaici e quotidiani che si svilupparono soprattutto in Inghilterra e in Francia, avamposto dell'arte borghese dell'800: paesaggio, ritratto, scene di interno, nature morte sostituiscono santi e Madonne, putti e cherubini.
Ed ecco Cani in posa (fino al 10 febbraio), oltre duecento opere di argomento canino, raccolte da Francesco Petrucci in cinque sezioni. «Cani nell'antichità», principalmente sculture e manufatti d'area greco-romana, a testimonianza di quanto il Mediterraneo avesse dedicato cura e attenzione al quadrupede, mite e placido nella versione omerico di Argo, vent'anni ad attendere il padrone Odisseo, mostruoso e feroce il Cerbero all'ingresso degli inferi. «Cani in posa», il cuore della mostra dedicato a dipinti tra '500 e '700, con firme prestigiose quali Jacopo Bassano, Luca Giordano, Sebastiano Ricci, il Tiepolo, spesso chiamati da committenti a ritrarre il loro cane alla stregua di una persona, dopo lunghe e difficili sedute in cui si doveva convincere l'animale a muoversi il meno possibile. «Cani, uomini e donne in posa» rappresenta l'affetto dei padroni, il sentimento sempre ricambiato da semplici gesti, da sguardi languidi dell'animale, uno di famiglia,. C'è la Campaspe di Mattia Preti, il Ritratto di dama inglese secondo Jacopo Amigoni, piccolo maestro della pittura di genere, il gesso di Antonio Canova raffigurante Endimione, un ignoto pittore inglese che ritrae Gioacchino Rossini accanto al suo cane. Più naturale, perché inserita nella vita reale, la parte dedicata ai «Cani in scena», in salotto, a caccia, come lo ricorda la pittura naif di Antonio Ligabue, a passeggio con il padrone, pigramente accoccolato sul divano. Passano i secoli e aumentano le attenzioni: l'animale considerato di mera utilità nelle civiltà contadine con il processo di inurbamento assume un ruolo diverso. Il feroce cane da guardia ha lasciato il posto a esemplari dolci, simili a noi per carattere e talvolta persino nella gestualità. Certamente originale l'ultima sezione, «Cani immaginari», che sarebbe molto piaciuta a Borges nella compilazione del Manuale di zoologia fantastica. C'è un filo sottile che unisce la Melencholia incisa da Durer con le tavole di Topolino, le manifatture giapponesi dell'800 con i Peanuts di Schulz e i fumetti del nostro Magnus. Cani pupazzi, cani robotici, preferiamo ancora quelli veri, per occuparci di loro senza l'assillo di avere nulla in cambio oltre l'amore disinteressato.
E l'arte contemporanea? Meravigliosi i Subway Drawings di Keith Haring, scorgo le opere di alcuni amici come Tommaso Cascella, Corrado Zeni e Matteo Basilé. Il pittore è il migliore amico del cane, siamo tutti d'accordo.
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