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Milano celebra Giampiero Neri, il poeta schivo

Poeta pudico, schivo, silenzioso, Neri è sostenuto, nella vecchiaia, da una ispirazione ribollente

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Tutta colpa di una cena. Altrimenti, fosse per lui, non avrebbe pubblicato un verso. «Un giorno mi telefona Giovanni Raboni per invitarmi a cena. Accetto l'invito. Mi dice che vuole pubblicare a tutti i costi L'aspetto occidentale del vestito, che per me era un lavoro ancora incompleto». Giampietro Pontiggia ci sta. «Cosa devo dirle? A volte le cose capitano... diciamo che credo nella Provvidenza». Così, nel 1976, nasce Giampiero Neri, poeta atipico, disadatto a stare nel canone italiano. D'altronde, dice lui, «la poesia in Italia è ripiegata su se stessa, indaga l'io. Beh, io non condivido questa tendenza: io penso che la poesia comincia con l'Iliade, con una guerra, con dei fatti. Il poeta deve guardare davanti a sé, non dentro di sé, direbbe Boris Pasternak». Esordio tardo, quarant'anni fa, lo scorso aprile Neri ha fatto 90 anni. Come poeta, si è regalato un libro, Via provinciale, pubblicato in gennaio da Garzanti, «che per me, devo dire, è il lavoro più compiuto. Anche se morissi oggi, sarei tranquillo». Sfiziosa bugia.

Poeta pudico, schivo, silenzioso, Neri è sostenuto, nella vecchiaia, da una ispirazione ribollente. Ha già un'altra raccolta tra le mani. «La sto terminando. Il titolo, per il momento, è Piano d'erba: Piano d'Erba è l'antico nome di Erba, il mio paese. Si tratta, in fondo, di meditazioni, di avvenimenti». Ricordi minimi, ma imperiosi, che hanno la necessità di un simbolo. In questi giorni Milano ricorda il suo poeta, attraverso due momenti. Il primo, spettacolare, ieri, presso il Centro Culturale di Milano: in scena una riduzione dal libro biografico Un maestro in ombra (Jaca Book, 2013). Oggi, invece, l'Università Cattolica di Milano dedica una giornata di studio al poeta: «Una macchina per pensare». Giampiero Neri prima e dopo «Teatro naturale». Insomma un piccolo trionfo... Neri sorride. «Posso dire di essere un uomo fortunato». La memoria va a quando aveva trent'anni. «Prendevo lezioni di chitarra classica. Un giorno il maestro, recisamente, mi dice che non sarei mai diventato chitarrista. Allora ho abbandonato. E mi sono buttato nella poesia». Tra i primi lettori, anche il fratello Giuseppe Pontiggia. «Ci leggevamo a vicenda. Il Peppo, prima di scrivere romanzi, scriveva poesie. Non mi piacevano molto. Erano troppo liriche». Oggi Neri legge Jacob Taubes, le lettere di Cicerone, e i Vangeli. Ma i rapporti tra il poeta e Dio, come sono? Neri nicchia. «Sono un cattivo praticante e sono pieno di peccati. Sembro don Abbondio, disposto all'obbedienza e mai obbediente». C'è qualcosa di australe nella voce di Neri, come se la poesia riuscisse a equilibrare l'uomo e il suo avventato avvenire. Dove sta il segreto? «Ho un carattere portato all'entusiasmo, sempre».

Eccola la pillola della longevità.

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