Cultura e Spettacoli

Milano, palcoscenico della commedia umana

Un libro racconta la comicità meneghina. Nata tra locali, intellettuali e piccoli gangster

Milano, palcoscenico della commedia umana

Ci vuole il senso della battuta e una buona conoscenza delle storie per realizzare un libro come Milano. Storia comica di una città tragica, sottotitolo: «I club, la malavita, il cabaret e la televisione»(Bompiani). Ma Giulio D'Antona, che lo ha scritto, ha imparato che l'umorismo può essere un buon compagno di vita da suo nonno che frequentava di notte il mondo dei cabaret meneghini e nel tempo ha imparato non solo come raccontare le barzellette senza sbagliare il finale ma ha saputo percepire la forte umanità dietro che sta dietro chi le racconta.

Ed è quindi una storia fatta di persone che animano e vivono lo spirito di una città quella che D'Antona costruisce spiegandoci come Cochi e Renato, Enzo Jannacci, i Gufi, I Gatti di Vicolo Miracoli, Walter Valdi, Diego Abatantuomo, Giorgio Faletti, Lino Toffolo, Paolo Villaggio, Giorgio Porcaro, Massimo Boldi, Teo Teocoli, Guido Nicheli, Claudio Bisio (che firma l'introduzione al volume) e tanti altri abbiano inventato i personaggi che li hanno portati al successo e come loro stessi siano diventati veri e propri personaggi sul palcoscenico vario di una città come Milano. Locali come il Club 64, il Derby, il Refettorio, lo Zelig sono stati i posti dove la creatività di questi artisti si è espressa grazie a patron-imprenditori come Tinin Mantegazza, Gianni e Angela Bongiovanni, Roberto Brivio, Gino e Michele, prendendo spesso spunto dalla realtà e da volti incontrati per la strada, quasi per caso.

Persone che meritavano di essere raccontate o cantate fra dramma e ironia. Uomini e donne non di spettacolo ma che facevano spettacolo nella quotidianità. Volti che apparivano in luoghi come il Bar Gattullo dove Beppe Viola seduto al tavolo con Cochi e Renato applicava la teoria dell'Ufficio Facce, scommettendo se, quello lì o quella lo là, erano dei milanisti o degli interisti.

Questa Milano che non era ancora da bere «era una fucina di comicità che ancora fumava sotto la cenere, pronta a far divampare un incendio per espandere il quale ci sarebbe stato bisogno di un potente mezzo di di diffusione. Occorreva individuare un elemento essenziale di quanto accadeva nei locali, fermarlo e portarlo al di fuori del suo ambiente naturale senza stravolgerlo. Chi frequentava i club lo faceva per sfuggire alla propria normalità. Si voleva sentire in qualche misura parte della trasgressione che serpeggia lontana dai salotti e dalle sale da tè». In questi posti poteva succedere che Paolo Villaggio sfidasse Umberto Simonetta a vincere l'insonnia tirando mattina, o che Gianfranco Funari si vantasse di aver guadagnato milioni lavorando nei casinò della Francia e del Giappone o che Walter Valdi facesse le sue prime esibizioni da mimo. Ma vi si potevano incontrare anche personaggi come l'Elia, talmente iroso da «aver cercato di accoltellare la marmitta di un camion»; Pino Ciuffo che dopo avere preso tredici anni di galera se n'era fatti aggiungere altri due «per aver mozzato tre dita al compagno di cella», o Les Mans capace di passare tutta la giornata al tavolo da gioco, o l'ex lottatore professionista Bestia capace di intrattenere il pubblico con canzoni della mala, o il Bistecca che elargiva battute e barzellette efficaci ai comici disposti a pagargli il pasto.

Giulio D'Antona è abilissimo a raccontarci come luoghi come il Derby nelle serate fumose di nebbia avessero un pubblico colorato di avventori composto oltre che da borghesi, scrittori, pittori, operai ma anche da membri prima della vecchia ligera e poi da componenti della nuova mala milanese. Per poter raccontare buone storie su quel palco bisognava averle vissute come l'Angela Bongiovanni che una sera mentre stava chiudendo il locale si era vista ordinare da bere da due balordi. Al suo rifiuto i due avevano risposto deponendo due mitra sul tavolo.

Le bottiglie di champagne erano subito apparse sul bancone e il locale non aveva chiuso finché non erano state consumate.

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