Cultura e Spettacoli

Quella modella di Klimt nasconde amore e misteri

Il "Ritratto di signora", rubato e riapparso un anno fa (e ora in mostra a Piacenza), ispira il romanzo di Dadati

Quella modella di Klimt nasconde amore e misteri

C'è una storia che si svolge in una città di provincia del Nord Italia, negli ultimi 25 anni. Poi c'è un'altra storia, che accade in una raffinata capitale europea, il cuore dell'Impero che si sta sgretolando, fra il 1910 e la fine della Prima guerra mondiale. E infine c'è una terza storia, che si svolge fra Vienna e l'Italia, a cavallo fra le altre due. Al centro di tutte queste storie, c'è sempre lei: la ragazza, quella dagli occhi azzurri e la bocca semiaperta, con le labbra carnose e un piccolo neo, sotto l'occhio sinistro. Gustav Klimt la dipinse nel 1910; nel 1912 il Ritratto di ragazza fu esposto a Dresda, alla Grosse Kunstausstellung, per la prima e unica volta. Poi quel ritratto sparì, fino a che, nel 1996, una studentessa di un Liceo di Piacenza, Claudia Maga, intuì, con percezione degna del suo cognome, che dietro il Ritratto di signora esposto alla Galleria Ricci Oddi di Piacenza c'era proprio lei, la ragazza di Klimt, anche se «modificata». Vero. Il 22 febbraio dell'anno successivo quel quadrò sparì di nuovo: fu rubato, nessuno ne ebbe traccia per più di vent'anni e poi all'improvviso risaltò fuori, il 10 dicembre 2019 (poco meno di un anno fa), nascosto in una intercapedine della Galleria stessa, durante i lavori per la preparazione di una mostra dedicata a Stefano Fugazza, storico direttore della pinacoteca piacentina. Il Ritratto di signora era avvolto in un sacco nero, ma era intatto. Era sempre Klimt, era sempre la sua ragazza senza nome.

Il Ritratto di signora è tornato sotto gli occhi del pubblico, alla Galleria Ricci Oddi, all'interno del «Progetto Klimt» (che terminerà nel 2022, per i 160 anni dalla nascita dell'artista), ma esso continua a lasciar intravedere i suoi misteri in controluce (come quelle tre storie di cui si diceva all'inizio...), per chi sa osservare. Come Claudia Maga, che quel giorno scorse, come poi comprovarono le radiografie, la giovane donna con il cappellone e la sciarpa vaporosa sotto il volto di quella signora, lasciando emergere il passato nel presente. E come vuol fare Gabriele Dadati, piacentino, collaboratore di Fugazza e curatore della mostra a lui dedicata, nel suo La modella di Klimt. La vera storia del capolavoro ritrovato (Baldini+Castoldi, pagg. 222, euro 17), che, nonostante il sottotitolo, è dichiaratamente un «romanzo». Insomma la storia è vera, ma forse è inventata. Oppure è inventata, ma suona così vera, o almeno verosimile...

Non bastava una vicenda che, già di per sé, sembra la trama di un giallo ambientato fra atelier e gallerie d'arte? No. E come potrebbe, visto che è stato lo stesso Klimt a nascondere la sua opera, a camuffarla, a trasformarla, intorno al 1916-1917, poco prima di morire? E soprattutto perché lo ha fatto, a distanza di sette anni dal primo Ritratto? E chi è quella «ragazza», poi diventata una «signora», alla quale Klimt toglie il cappello e le piume e una certa aria troppo seduttiva, lasciandole comunque il fascino e l'immortalità?

Dadati prova a dare una risposta, non solo a queste ma anche ad altre domande, per esempio: chi ha tentato di rubare il Ritratto, nel 1997? E questo ritrovamento nel sacco nero che cosa significa, vuol dire che in realtà il dipinto non era stato trafugato, oppure che è stato restituito per motivi oscuri? Ed è possibile che fra le due storie, quella di provincia, del furto in una Galleria piacentina e quella nella Grande Vienna al tramonto, di una ragazza sconosciuta dipinta (e poi ridipinta) da un artista di fama, ci sia un collegamento, una terza storia che avvicini un mondo e l'altro, una vicenda e l'altra? Ed è possibile che questo filo sia il filo di una passione? È qui che nasce il romanzo di Dadati, dalla figura di una giovane operaia tessile, la bella Anna, scelta come «modella» per una cartolina pubblicitaria da una casa di moda dell'élite viennese; a ritrarla è proprio Klimt, caffettano lungo fino ai piedi, giovani nude e tanti gatti in giro per lo studio. Quella cartolina è il dipinto originario, ma poi le vicende della guerra e della vita travolgono Anna, nascerà un bambino, e quel bambino diventerà a sua volta padre... Ci sono molti orfani in questa storia, figli in cerca di una madre e di un padre, in cerca di un amore che forse non c'è stato mai, eppure agisce ancora, con la forza di quello che, inequivocabilmente, si chiamerebbe destino, non soltanto nella Vienna del primo Novecento.

Ed è così che l'invenzione diventa più vera della verità, perché riesce a infilarsi nelle lacune delle indagini artistico-poliziesche e, attraverso una serie di colpi di scena, a far parlare quegli occhi e quella bocca di ragazza/signora, e quel verde meraviglioso che li circondano, per lasciarsi trasportare in un altro mondo, quello dell'arte, in cui tutto è possibile e poetico, anche quando è crudele, e il cui frutto resta un capolavoro, anche quando la realtà è meschina, o fa male, o è stata dimenticata da molto tempo.

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