Cultura e Spettacoli

Montorfano, l'infelice vicino dell'"Ultima cena" di Leonardo

Inizia il restauro della "Crocefissione" sulla parete opposta al capolavoro di Da Vinci. Ecco com'è visto nel dettaglio...

Montorfano, l'infelice vicino dell'"Ultima cena" di Leonardo

Uno, due, tre, quattro... Quaranta passi. Che sono 35 metri e mezzo, circa. La distanza che divide la fama di un capolavoro universale da un'opera ignorata persino nei manuali universitari.

Da una parte, sul muro più celebre della storia dell'arte, l'Ultima cena di Leonardo da Vinci. Dall'altra, sulla parete ovest che rimase illesa nei bombardamenti alleati del 1943, un affresco monumentale: «lo sfortunato compagno di Leonardo», scrisse lo storico dell'arte Luca Beltrami in un articolo del 1921, un secolo fa. E aveva ragione. Quanti, fra il gruppo di 35 visitatori che ogni 15 minuti, per quattro slot all'ora, undici ore al giorno, sei giorni alla settimana su sette, entrano nel Refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano, rivolgono anche solo una manciata di secondi alla parete opposta al Cenacolo?

Eppure, lì, solitaria, ignorata - eterno secondo su due nella gara fra capolavori del Refettorio - degnata appena di uno sguardo dal turista in uscita, è collocata una delle più singolari Crocefissioni del nostro Quattrocento: quella di Donato Montorfano (1460 circa - 1502), pittore attivo in Lombardia, figlio d'arte il nonno Abramo da Montorfano lavorò per la Fabbrica del Duomo di Milano, il padre Alberto e il fratello Vincenzo continueranno la tradizione di famiglia - del quale poco si sa e ancora di meno ci resta. A parte l'opera in Santa Maria delle Grazie, la decorazione di alcune cappelle nella chiesa di San Pietro in Gessate a Milano.

Cominciata nel 1494, nello stesso esatto giro di mesi in cui Leonardo da Vinci mette mano alla sua Cena, terminata nel '95, un calvario lungo cinque secoli perseguitata dalla fama di opera sommersa dalla notorietà per il luogo in cui si trova ma mai celebrata - a causa del troppo famoso dirimpettaio la Crocefissione di Cristo di Donato Montorfano è al centro di un intervento di restauro cominciato prima di Natale e che terminerà nel mese di maggio. Assegnato all'azienda AuriFolia di Torino e sotto la direzione di Emanuela Daffra, direttore generale dei musei della Lombardia, il restauro è stato presentato ieri alla stampa, con una visita speciale.

Ed eccoci qui, sui ponteggi, a guardare da vicino l'opera, a tutta parete, dipinta su un velo di calce. Tre altissime croci che si infilano nelle lunette, Cristo e i due ladroni, uno salvato da un angelo, l'altro sormontato da un demone, la città di Gerusalemme al centro del paesaggio, e una scena affollatissima di personaggi tra aureole, elmi e picche in rilievo, a stucco o pastiglia, originariamente completate da foglie d'oro o metalliche: i santi domenicani, le pie donne che sostengono Maria, la Maddalena che abbraccia i piedi della croce, San Giovanni dolente, i soldati romani, un gruppo di sante domenicane («Le mie preferite», ci dice Lea Ghedin, responsabile del lavoro). I critici e gli storici dell'arte dicono che l'opera manca di profondità e non c'è dramma. Il giornalista ingenuo, però, resta incantato. Le bardature dei cavalli, i pianti, le smorfie, la polvere d'oro, le decine di dettagli...

Duemiladuecento ore di lavoro già effettuate e altre quattromila previste da qui alla fine dell'intervento, il restauro della Crocefissione più infelice della storia dell'arte serve non tanto, e non solo, a spazzare via dall'affresco colle e cere residue nei secoli, ma soprattutto qualche luogo comune sull'opera di Montorfano. Ad esempio. Non è così vero che a differenza dell'Ultima cena leonardesca, la Crocefissione della parete ovest goda di un migliore stato di conservazione (purtroppo anche qui emergono, oltre alle tracce dei disegni preparatori, diversi problemi di mantenimento, e si sono persi per sempre l'aspetto scintillante dell'opera e le tonalità di colore più sature...). E non è vero che Donato Montorfano e la tradizione lombarda, come si è sempre sostenuto, fossero arretrati dal punto di vista pittorico e tecnico a confronto dei vertici della modernità toscana. Semmai è vero che era Leonardo da Vinci ad essere avanti anni luce rispetto alla cultura artistica a lui contemporanea.

In più, il restauro servirà a identificare le diverse mani che intervennero sull'affresco (quella di Montorfano era un'équipe) e a confermare o meno l'attribuzione leonardesca dei ritratti di Ludovico il Moro e la moglie Beatrice d'Este con i loro due figli, collocati nella parte inferiore della Crocefissione e ormai quasi del tutto perduti. «Già dai primi mesi di lavoro appare chiaro che molte certezze sul dipinto dovranno essere riviste e che lo studio sistematico della sua materia aiuterà a dipanare le vicende di un luogo cruciale per la Milano rinascimentale», spiega Emanuela Daffra.

Intanto, dall'altra parte della Storia e della lunga sala, nota a margine di un cantiere che interessa l'intero Refettorio - ma programmato in modo da poter mantenere sempre aperto tutto il Museo di Santa Maria delle Grazie - ecco un ponteggio mobile, attivo soltanto di notte e nella giornata di lunedì, a Cenacolo chiuso, per ripulire le lunette sopra l'Ultima cena, una delle quali è sicuramente del maestro di Vinci.

E non basta.

È previsto anche un nuovo sistema di illuminazione di tutta la sala, oltre a un percorso didattico aggiornato per permettere al visitatore, anche il più distratto, di continuare a contemplare la meraviglia di Leonardo ma anche esauriti i 15 minuti canonici della visita e celebrato il rito del selfie davanti alla Cena - a percepire, là in fondo, su l'altra fazada d'esso rifitorio, la bellezza della Crocefissione, splendente, dello sventurato Donato Montorfano.

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