Muccino Jr. alle prese con "Le leggi del desiderio"

Una commedia ritmata e americaneggiante abbastanza riuscita ma che paga pegno a qualche eccesso di retorica e a un finale talmente già visto da apparire ridicolo

Muccino Jr. alle prese con "Le leggi del desiderio"

Dopo quattro anni di assenza e silenzio, Silvio Muccino torna a dirigere un film, "Le leggi del desiderio", che lo vede anche protagonista e co-sceneggiatore. In questa sua terza regia, che si avvale ancora una volta dell'apporto della scrittura di Carla Vangelista, il trentaduenne fratello d'arte appare più disinvolto e padrone dei propri mezzi, capace di dare alle sale una commedia abbastanza sofisticata e perciò più somigliante a certi prodotti d'oltreoceano che alle pellicole nostrane. Muccino Jr si mette in gioco con molto cuore e ottime intenzioni, ma il suo film convince solo in parte, perdendosi a un certo punto in un crescendo di piccole ingenuità che culminano in un finale melenso e scontato, (l'ennesima corsa in aeroporto). Giovanni (Silvio Muccino) è un life coach di successo che ritiene di essere in possesso di tecniche in grado di aiutare chiunque a raggiungere ciò che desidera, ma il suo è un mestiere al centro di polemiche e la sua figura è controversa: in molti lo ritengono un guru, altri gli danno apertamente del ciarlatano. Decide perciò di dimostrare la validità dei suoi metodi selezionando in un concorso tre “fortunate” persone che gli faranno da cavie e che lui porterà, in soli sei mesi, all'ambito successo.

I prescelti sono Luciana Marino (Carla Signoris), una cinquantenne segretaria in Vaticano con la passione per la scrittura di romanzi soft porn, Ernesto Colapicchioni (Maurizio Mattioli), un sessantenne disoccupato in cerca di impiego e con moglie disabile (Paola Tiziana Cruciani), e Matilde Silvestri (Nicole Grimaudo), una trentenne editor e amante del suo capo (Luca Ward). Il film si fa portavoce di temi interessanti, attuali e universali: la realizzazione personale e il vero significato della parola desiderio. Lascia intendere che con metodo e ostinazione si arrivi a qualsiasi traguardo ma pone l'accento sul prezzo da pagare in itinere, che spesso è quello di immolarsi al dio cinismo e snaturarsi indossando maschere che diventano prigioni. Il protagonista è caratterizzato secondo il cliché dell'uomo di mondo, sicuro di sé, smaliziato e furbo che nasconde in realtà un essere umano fragile e tormentato. Muccino, nell'interpretarlo, si mette a poco a poco in disparte lasciando generosamente spazio agli altri attori e ai loro personaggi malinconici e in cerca di riscatto.

Alcune scene sono davvero riuscite, ritmate e divertenti, come quella in cui vengono dettate mosse seduttive attraverso un auricolare, ma altre risultano prevedibili e dal romanticismo innegabilmente stantio. Da salvare e portare via con sé c'è sicuramente il messaggio rassicurante e positivo che invita alla riscoperta dei sentimenti.

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