"La musica del futuro sperimenta tutte le forme di teatro"

La direttrice della Biennale musica di Venezia spiega il successo del suo festival controcorrente

"La musica del futuro sperimenta tutte le forme di teatro"

Agli antipodi dal serioso dogmatismo che per decenni ha infierito sulla creatività contemporanea, condannando al silenzio i non conformati, la 66esima edizione del Festival internazionale di musica contemporanea di Venezia conclusosi ieri ha invitato compositori che sono «impresari del proprio progetto, elaborando da soli la loro drammaturgia, definendo le tecniche e le tecnologie che servono». Negli intenti della direttrice Lucia Ronchetti questo è un modo importante per riprendere un rapporto forte con il pubblico, evitando quella poco gradevole sensazione di riserva indiana di molte, troppe manifestazioni.

Quali sono le ragioni che l'hanno spinta a selezionare autori che fossero anche registi, performer, librettisti o riduttori di testi, insomma che avessero «il crisma della necessità assoluta», indissolubile dal fatto di mostrarsi negli aspetti più vari?

«Osservando la programmazione illuminata del Teatro La Fenice, volevo fare qualcosa di diverso, concentrandomi sul teatro musicale sperimentale con esecutori ridotti in numero, collaboratori da anni del compositore capaci di diventare personaggi di scena, performer di un teatro musicale alternativo».

Non a caso il Leone d'oro è andato a Giorgio Battistelli. Questo lavoro di musica immaginistica guidato da Battistelli, autore-librettista-regista-direttore, ha reso geniale, fra teatro e musica, l'attività di 19 artigiani: mastri pasticceri agitano tortiere e tirano sfoglie; garzoni e ciabattini battono chiodi per risuolare le scarpe; muratori danno di olio di gomito con mazze e cazzuole, spadai che limano; e con loro fabbri, selciaroli, falegnami, bottai...

«Giorgio Battistelli è un punto di riferimento per molti compositori, sia per la poliedricità del suo talento, sia per l'interazione con gli esecutori, come i tre percussionisti-esecutori, «Ars Ludi», protagonisti di Jules Verne, immaginazione in forma di teatro, ai quali è stato attributo il Leone d'argento».

Per riprendere le parole che Erasmo Valente scrisse al suo apparire: si tratta esecutori che «parlano, borbottano, ridono, canterellano, azzardano canti più spiegati, fischiettano, danzano e soprattutto facendo finta di niente, appioppano colpi col pugno, con il piede o come capita contro oggetti da percuotere, manovrando mille altre fonti sonore».

«Lo stesso avveniva nel '600 veneziano. Nella stagione di carnevale 1642 furono presentate 12 nuove produzioni, con prime assolute di operisti della statura di Francesco Cavalli e di Francesco Sagrati. Spettacoli dove i cantanti suonavano vari strumenti e si cucivano i vestiti di scena. Venezia era una città straordinaria dove le cantanti erano anche ricercate cortigiane e fra il pubblico non mancavano gondolieri che dibattevano con gli artisti».

Lei l'ha definita la «storia verticale» di Venezia: nelle sue profondità ci sono state avventure teatrali che ancora oggi ci influenzano.

«Il palcoscenico dell'attuale Teatro Goldoni sorge dove un tempo c'era il Teatro Vendramin, un luogo importante dove sono state create le opere di Vivaldi, nate a Venezia non per caso, ma perché c'erano concrete possibilità di lavoro, di sperimentazione, si poteva ardire e diventare impresari di sé stessi, magari rischiando di perdere tutto per poi ricominciare. Un po' come succede oggi in Germania: il compositore può sbagliare - anche io ho avuto esperienze negative - senza però che nessuno mettesse in discussione il diritto di provare, sbagliare, ritentare».

Lei ha spesso parlato di questa Biennale Musica come antitetica ai normali festival contemporaneisti, un po' circense, un po' divertissement.

«Abbiamo voluto parlare a tutto il pubblico, fare qualcosa che affondasse le radici nella città. Così alla compositrice belga Annelis Van Parys ho affidato la rielaborazione di venti madrigali di Adriano Banchieri, La Barca di Venetia per Padova, un viaggio incredibile dove nessuno parte e tutti interagiscono, il romano parla col tedesco con stilemi fiamminghi, il giudeo con il veneziano».

A Venezia non poteva mancare l'ombra del padre dell'opera, Monteverdi.

«Evocata dal compositore danese Simon Steen-Andersen con un gruppo di suoi fidi alleati. Seguendo il modello del Ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi, hanno proposto il loro ritorno, una specie di documentario sulle tracce dei primi teatri pubblici veneziani, il San Cassiano e quello dei SS. Giovanni e Paolo. Teatri dispersi nel vento, teatri lignei che non si sa nemmeno precisamente dove fossero. Andersen ha collaborato con giovani musicisti veneziani specializzati nella musica barocca e li ha portati in giro in vari luoghi del Piccolo Arsenale, come stazioni che simboleggiano gli antichi teatri scomparsi».

Evitando la retorica dilagante delle «quote rosa», c'è stata presenza concreta di compositrici autorevoli in questa edizione, oltre alla Van Parys.

«Solo da tre generazioni le donne possono avere pieno accesso all'alta formazione in composizione, ma già le nuove generazioni hanno figure importantissime come Kaija Saariaho, Olga Neuwirth, Rebecca Saunders, anche se ci vorranno almeno altre cinque o sei generazioni per vedere raccolti più abbondanti. Noto comunque, anche fra molte direttrici d'orchestra, una serietà incredibile».

Giunta a metà del

suo mandato, cosa vede nelle future Biennali?

«Indagheremo il mondo vasto della musica elettronica e nel 2024 scaveremo intorno alla musica assoluta secondo la tradizione europea alla ricerca del Mozart attuale...».

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