Nei sogni di Hollywood c'è una "formula perfetta"

Attori, registi, produttori nell'eterna caccia all'equilibrio fra arte, soldi e successo: la storia del cinema di Thomson

Nei sogni di Hollywood c'è una "formula perfetta"

Le spese per I dieci comandamenti erano già arrivate a un milione di dollari (nel 1923). Adolph Zukor, capo della Paramount, tormentava Cecil B. De Mille, che insisteva: «Credo che sarà il più grande film mai fatto». Zukor, però, non si placava, e allora De Mille andò a chiedere un milione in prestito, per ricomprarsi il film. Alla banca offrì in garanzia solo la sua sicurezza: ovvero, che I dieci comandamenti fosse «un buon film». Però... Zukor venne a sapere del prestito, e allora si convinse che, davvero, il film fosse buono. Così I dieci comandamenti fu prodotto dalla Paramount, costò 1,4 milioni di dollari e ne incassò 4,1.

«Il gioco d'azzardo è una guerra preventiva al destino» scrive David Thomson in La formula perfetta. Una storia di Hollywood, che sarà in libreria per Adelphi da lunedì. La formula perfetta è il risultato di decenni trascorsi da Thomson fra le sale, le celebrità, le pagine della storia del cinema: guru della critica anglosassone, nato a Londra nel '41, da anni è ormai cittadino di San Francisco, da dove non lo ha allontanato nemmeno una spaventosa scossa di terremoto quando il figlio era appena nato. Ma tant'è, la California è terra di azzardo e, dice Thomson, «le regole di questo gioco sono già scritte qui, nel panorama e nel paese: l'assolata California». Questo legame indissolubile fra il cinema e il suo «luogo» attraversa tutto il libro di Thomson, un volumone di 606 pagine che parte dall'alba del cinema e arriva fino ai primi anni Duemila concentrandosi soprattutto sulla sua «epoca d'oro», gli anni Trenta e Quaranta, con il mitico 1939 come apice: mentre l'Europa veniva invasa dai nazisti, l'America veniva invasa da Via col vento, il più grande successo al botteghino dai tempi di Nascita di una nazione di Griffith nel 1915 (che nell'era del muto fu uno spartiacque, anche nella nascita delle fortune delle major e di quella di Louis B. Mayer in particolare). Eppure... proprio nel '39, alla Mayer avevano tentato di tagliare Over the Rainbow dalla colonna sonora del Mago di Oz (fu Louis B. Mayer medesimo a decidere: «Tenetela!»), a Orson Welles fu data carta bianca dalla Rko Radio Pictures per i suoi progetti («e molti nell'ambiente pensarono che fosse un pessimo segno dei tempi») e, come previsto da Irene Selznick, la moglie di David, ovvero l'uomo che aveva voluto e prodotto Via col vento con ogni fibra della sua volontà e con ogni dollaro raccattato, perfino dall'odiatissimo suocero, cioè, sempre, l'ingombrante Louis B. Mayer, la realizzazione prima e poi il successo del film avrebbero distrutto il marito. Che andò fuori di testa, tra farmaci, sesso e diritti. Irene, da parte sua, è un personaggio unico fra i meravigliosi protagonisti di questa «Storia di Hollywood»: fosse stata un uomo, diceva il padre, sarebbe stata lei a dirigere gli Studios, e che direttore sarebbe stato... Thomson l'ha conosciuta, ormai anziana, ma sempre gelida e crudele quanto lucida, nell'albergo di New York dove viveva da anni, ovvero da quando aveva divorziato da Selznick, mollato Hollywood e si era dedicata alla produzione teatrale (esordio, Un tram chiamato desiderio).

La formula perfetta non è solo un libro ricchissimo di aneddoti sui grandi protagonisti della storia del cinema, da Charlie Chaplin a David W. Griffith, da Robert Towne e il seguito mai realizzato di Chinatown alla «fabbrica di ruoli» James Cagney, da Katherine Hepburn manager di sé stessa al male oscuro di Marlon Brando, da Francis Ford Coppola che accetta controvoglia di dirigere Il Padrino perché lui e l'amico George Lucas hanno un debito di 300mila dollari con la Paramount, all'utopia di Rapacità di Stroheim, tagliato da nove a due ore (Irene Selznick si sorbì la versione intera). È anche una riflessione sul rapporto fra arte e soldi, fra creazione e business, sui compromessi che si accettano per l'ossessione del denaro, sull'importanza delle auto a Los Angeles, sui conti che non tornano mai (specialmente quando sui profitti ci sono da pagare le tasse...) e sull'inestricabile dubbio in cui, fin dalla nascita, si dibatte l'Academy all'assegnazione dell'Oscar: successo o qualità? La formula perfetta sarebbe, forse, ciò che tiene insieme tutto, l'oro e i pirati, la verità e l'avidità, la fama e l'eternità, «i misfatti e la maestà, i dati finanziari e le oceaniche platee di noi spettatori a bocca aperta, l'arte e l'abominio». La formula perfetta, d'altronde, è una citazione da Gli ultimi fuochi, e Francis Scott Fitzgerald è uno dei protagonisti del libro di Thomson.

Uno scrittore sul Viale del Tramonto, che nel 1940 raccontava un mondo in declino, un mondo che non capiva, e forse disprezzava, ma da cui non poteva staccarsi; un mondo che, ottantadue anni dopo, avrà perso il suo «filtro magico», ma continua a incantare, così come incantava allora, anche con i suoi ultimi fuochi.

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