Samuele Bersani si capisce meglio quando non c'è. Perché manca. Ora che è tornato dopo sette anni ha riempito all'istante il vuoto della canzone d'autore. Quella che non è frigidamente introspettiva. Che ha voglia di immagini e racconti, che vive di musica arrampicata e attorcigliata alle parole soltanto dopo tanto, tanto lavoro. Cinema Bersani, che è uscito ieri nel giorno del suo cinquantesimo compleanno, non è un disco da «venerato maestro» (leggasi trombone autocompiaciuto) ma il disco di un debuttante a vita che scrive qualcosa soltanto quando ha davvero qualcosa da scrivere. Parla di sconsolante passività di fronte al display (Scorrimento verticale) o di amore universale (Le Abbagnale) o di soprusi (L'intervista). E lo fa trattando ogni brano come fosse un copione, una storia piena di riflessi e letture che non evapora al primo ascolto.
Insomma, oggigiorno Samuele Bersani è più raro di un panda rosso. Non a caso è stato il primo, dopo la carestia da lockdown, a presentare un disco «in presenza», ossia con la stampa davanti al volto e non dietro a uno schermo. Ne aveva proprio voglia perché «questo disco arriva dopo un blackout creativo» e per un artista il blackout creativo è come l'assenza di segnale in uno smartphone: fine delle comunicazioni con l'esterno.
Invece in Cinema Bersani c'è un brano che parla proprio dell'eccesso di comunicazione: Scorrimento verticale.
«Ho trascorso l'estate a casa dei miei genitori a Cattolica e ho potuto verificare da vicino la trasformazione antropologica dei ragazzi».
Ossia?
«Mi è capitato di vedere tante volte ragazzini e ragazzine sulle panchine all'una di notte che invece di limonare guardavano video sui loro cellulari. Da soli. Ciascuno per proprio conto. Se ci aggiunge un'altra scena, ossia le mamme con il cellulare che hanno il passeggino con il porta-ipad per i figli, si capisce il senso di questo brano».
Sembra che la noia sia vietata.
«Ma quanti sogni ci ha portato la noia. Quanti sogni! Quanti finti autografi ho fatto sui fogli di carta bianca mentre sognavo di diventare una popstar».
Poi Lucio Dalla ha creduto in Samuele Bersani.
«Mi ha insegnato il valore paradossalmente più sbagliato nel nostro campo: ossia l'umiltà. Lui era molto umile, molto rispettoso di tutti gli altri. Era con i fan proprio come era con l'amministratore delegato».
Bersani, come mai ha impiegato tanto tempo a tornare?
«Forse avevo scritto troppi sms ispirati e mi si era esaurita la vena.... ». (risata amara - ndr).
In realtà?
«Ho avuto un black out creativo, si dice così no? Sono entrato in un buio che poi è diventato anche uno dei concetti più ricorrenti di questo album. Una fase che sono riuscito a superare dopo aver scritto Il tuo ricordo, che è in sostanza la descrizione di come il presente riesca a superare il passato».
Allora parliamo di presente. Quando è uscito il suo nuovo singolo Harakiri, c'è stato uno tsnunami di entusiasmo social. Dei suoi fan. E dei suoi colleghi. Cesare Cremonini ad esempio.
«Mi ha inorgoglito».
Anche i registi Damiano e Fabio D'Innocenzo hanno applaudito.
«Avevo mandato loro un mio brano (Il tuo ricordo - ndr) e loro ne hanno fatto una story su Instagram».
Bersani, questo suo disco sembra quasi un film.
«Io lo vedo come un multisala, che non è la mia forma preferita di cinema ma bisogna sapersi adattare ai tempi... E spero di essere riuscito a fare canzoni in grado di trasferire qualcosa».
Perché «Cinema Bersani»?
«Perché il più grande complimento che mi abbiano fatto è quello di una ragazza dopo un mio firmacopie. Mi disse: I tuoi brani sono piccoli cortometraggi per non vedenti. Io ho la fortuna di vederci, ma lo trovo un enorme apprezzamento».
Scusi perché intitolare un brano L'intervista?
«Mi sono messo nei panni dei giornalisti quando devono intervistare chi fa il fenomeno ma in realtà non ha niente da dire. Ma è anche, più in generale, un pezzo sul sopruso».
È stato via sette anni. E in sette anni la musica è cambiata.
«Mi piace il rap, con la trap faccio fatica. Trovo Salmo eccezionale ma non sopporto tanta fuffa uscita dai talent show. Tra i giovanissimi mi piace Fulminacci».
Dovesse dire di che cosa ha davvero voglia il pubblico oggi?
«C'è fame di canzoni, di roba bella, non solo musica ma comunque bella in mezzo a tanta bruttura, a tante cose scritte e composte per il solo gusto di farlo».
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