Non ho mai sopportato la letteratura latinoamericana, soprattutto la lagna del realismo magico di Gabriel García Márquez, con i suoi cent'anni di solitudine che per me sono solo cent'anni di noia, e Isabelle Allende, e Vargas Llosa, e in generale tutte quelle tragediabilità familiari all'ombra di colpi di Stato in paesi straccioni. Fatti salvi gli sperimentali Cortázar, e Borges, e uno scrittore che ormai è diventato di culto, il cileno Roberto Bolaño, il quale da tempo è entrato sotto l'ala protettrice editoriale di Adelphi, che quando prende un autore per fortuna non lo molla più.
E dunque viene adesso ristampato da Adelphi La pista di ghiaccio (pagg. 198, euro 17), romanzo d'esordio di Bolaño, pubblicato in Spagna nel 1993 e all'epoca ignorato, uscito senza distribuzione, come spesso succede ai grandi, quindi un buon inizio. Dentro ci sono già tutti i temi cardine del cileno, è un romanzo giallo, ma è anche un romanzo d'amore, e anche un romanzo che nulla c'entra col realismo magico, casomai è un realismo immaginifico e inquietante e disperato. Casomai un «realismo viscerale», movimento a cui dichiarava di appartenere anche uno dei personaggi de I detective selvaggi, il diciassettenne Juan Garcia Manero, ma lì eravamo in Messico.
Qui invece siamo in una cittadina della Costa Brava chiamata Z, e Bolaño mette in scena una storia narrata da tre personaggi, quindi con tre voci narranti. Parlano a turno un burocrate apparentemente cinico, uno scrittore fallito proprietario di locali e di un camping, e un poeta fallito che finirà per lavorare nel camping trovandosi invischiato nelle vicende degli altri due.
È una storia d'amore, perché due personaggi sono innamorati di una pattinatrice, Nuria, perno emotivo della narrazione, per la quale il politico socialista farà costruire segretamente una pista di ghiaccio in un palazzo abbandonato, usando il denaro pubblico. Ma è anche un giallo, perché fin dalle prime pagine viene annunciato un misterioso delitto, e in effetti Bolaño riesce a portare avanti una suspense poliziesca degna di una delle migliori serie di Netflix, con quella sua tecnica di disseminare indizi, vere tracce e piste false in ogni pagina, come d'altra parte ha fatto in molti dei grandi romanzi successivi, da I detective selvaggi a 2666.
Ma il centro metaforico, l'unica vera pista da seguire, è proprio la pista di ghiaccio, perché Bolaño è drastico quando affronta il tema della passione rovente, destinata a essere raggelata dalla realtà, dall'intrecciarsi degli eventi, dalle casualità che governano il caos del mondo, dall'entropia dell'universo. L'amore non fa rima con cuore ma si scontra contro una lastra di ghiaccio. È l'ideale devastato dalla precarietà del reale, ciò che in genere hanno sempre raccontato i grandi scrittori, da Cervantes a Flaubert a Proust.
Non per altro il personaggio più interessante è il politico socialista, perché decide di infrangere la legge per un amore non corrisposto, come d'altra parte sono sempre gli amori più lancinanti. E la splendida Nuria, come tutte le donne seducenti della letteratura, non appartiene a nessuno, sfugge a qualsiasi tentativo di essere ingabbiata, posseduta, barcamenandosi tra due uomini e sottraendosi a entrambi.
In Spagna la rappresentazione del paese affarista e corrotto dipinta da uno scrittore cileno pare non sia stata molto gradita, ma evidentemente gli spagnoli sono permalosi, la
politica serve solo da sfondo drammatico. Bolaño stesso ha definito il romanzo come un libro sentimentale e spietato: «Ne La pista di ghiaccio parlo della bellezza, che dura poco e finisce quasi sempre in modo disastroso».
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