Le prime opere di Berto, eccettuato il racconto intitolato La colonna Feletti, furono scritte nel campo di prigionia di Hereford, in Texas, dove lo scrittore fu deportato dopo la disfatta sul fronte africano nel 1943. Risalgono a questo periodo molti racconti e due romanzi: Il cielo è rosso e Le opere di Dio. La detenzione si protrasse fino al febbraio del 1946. Tra i compagni di prigionia, nel settore «riservato» ai militari non collaboranti col vincitore, c'erano Dante Troisi, Gaetano Tumiati e Alberto Burri. L'ambiente era stimolante... C'era da mangiare, almeno all'inizio, e molto tempo libero a disposizione. Poi l'alimentazione fu ridotta, per costringere i prigionieri a parlare, e le forze cominciarono a mancare. Per fortuna Berto aveva già messo da parte un bel pacco di carte.
Qui, dicevamo, fu scritto Il cielo è rosso, il romanzo pubblicato da Leo Longanesi poco prima del Natale 1946 (e che viene ripubblicato ora da Neri Pozza, pagg. 420, euro 18, in libreria da domani). Fu il «carciofino sott'odio» in persona a scegliere il titolo biblico, cancellando quello d'autore, il dantesco La perduta gente. Berto segue le sventure di una banda di ragazzini sopravvissuti al bombardamento alleato di Treviso, avvenuto il 7 aprile 1944. Tutto è oscurità, rotta solo dai roghi, in un libro dove il mito prende il sopravvento sulla realtà. Non ci sono partigiani o fascisti, americani o tedeschi, ma forti e deboli alle prese con i sentimenti più elementari e le scelte fondamentali: uccidere, lasciarsi uccidere, sopravvivere, togliersi la vita, amare, rinunciare ad amare, sopraffare, essere sopraffatti. La natura assiste impassibile. Perfino i piloti alleati, che scaricano un uragano di fuoco, eseguono gli ordini come nulla fosse. Il romanzo fu considerato neorealista e diede vita a un equivoco che proseguirà coi seguenti Le opere di Dio e Il brigante. Era un neorealismo parecchio strano, visto che Berto scrisse il romanzo in Texas sulla base di notizie frammentarie attinte dalle fonti più disparate. Il finale, che non riveliamo, nonostante non sia un giallo, è l'ammissione di un fallimento che da personale si fa storico. La borghesia, lungi dall'essere una forza propulsiva, ha trascinato nella polvere il Paese e ora non ha uno straccio di idea per andare avanti.
Il cielo è rosso fu un successo di vendite. Berto decise di capitalizzare e tirare fuori dal cassetto Le opere di Dio, la storia di una famiglia di contadini travolta dall'avanzata degli Alleati. Longanesi lo rifiutò ufficialmente poiché già uscito a puntate su rivista, ufficiosamente perché Berto, per il libro precedente, aveva spuntato un contratto troppo vantaggioso, chiedendo un anticipo basso ma ottenendo una alta percentuale di diritti d'autore. Le opere di Dio fu ignorato dai critici, che lo considerarono, a torto, un'appendice de Il cielo è rosso (in realtà anteriore). Anche Berto però fece un errore dettato dall'impazienza. Quando Le opere di Dio arriva in libreria, il romanzo precedente non ha ancora esaurito la sua corsa, al punto che il giorno d'uscita quasi coincide con la vittoria del Premio Firenze assegnato a Il cielo è rosso. Il brigante (1951) sarebbe, a detta dell'autore, un libro marxista uscito nel momento sbagliato. I filo-occidentali non presero bene il contenuto populista del romanzo («populista» si intende nel suo significato storico di socialismo legato alla divisione tra i braccianti della proprietà terriera). I marxisti pure diffidarono. Berto era l'autore de Il cielo è rosso, un misterioso oggetto proveniente da un campo di prigionia per fascisti e transitato tra le grinfie di Leo Longanesi. Insomma, era un libro sospetto, che non potevano appoggiare a cuor leggero. Se andiamo avanti è per tornare indietro a Il cielo è rosso e alla sua supposta appartenenza al neorealismo. Berto spiega, nella prefazione scritta per l'edizione Rusconi del 1974, la genesi e la ricezione de Il brigante. Era un romanzo neorealista? Può essere, ma non fu un'adesione calcolata. Il neorealismo fu un movimento «spontaneo, generoso e sbagliato». La sua caratteristica principale era la fede in un «socialismo elementare, utopico, scarso o del tutto privo di basi culturali, ma in compenso entusiastico e pieno di certezze». Erano approdati al neorealismo, senza contraddizioni, anche numerosi fascisti, perché il regime era riuscito «non si capisce bene come» a mantenere in vita alcune sue «tendenze socialiste». Dal punto di vista stilistico, il neorealismo reagisce all'ermetismo, all'elzeviro, alla prosa d'arte. A tutte le forme «di evasione, di ipocrisia, di menzogna con le quali gli intellettuali italiani erano riusciti a convivere col fascismo senza contrastarlo, senza appoggiarlo, senza in alcun modo compromettersi». Naturale fu quindi la scelta del romanzo scritto in un linguaggio povero e comprensibile a tutti. Infine, gli intellettuali, in preda a «una specie di megalomania di tipo messianico», erano convinti di possedere «verità assolute» con le quali influenzare il corso degli eventi. Il fallimento fu totale: l'aspirazione al socialismo divenne un riverente sostegno allo stalinismo; l'anti-retorica si fece un dogma e si trasformò in retorica; la megalomania era irrealistica, al punto che Pavese, non solo ma anche per questo, si suicidò il 27 agosto 1950. Quella data, per Berto, segna simbolicamente la fine del (non) movimento neorealista. Un ultimo aneddoto, però significativo, raccontato da Evaldo Violo. Nel 1975 Tuttolibri fece un'inchiesta nella quale si chiedeva ai lettori di indicare il libro più amato e il libro più importante del Novecento. Il referendum si svolse a partire da una lista bloccata e compilata dai critici letterari. Nessun libro di Berto era presente. I lettori però avevano la possibilità di indicare anche un titolo a piacimento.
In questa graduatoria, compilata dunque dal pubblico, nella categoria libro più importante c'erano due romanzi di Berto: Il cielo è rosso al decimo posto e Il male oscuro al terzo, dietro a Un uomo di Oriana Fallaci e La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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