"Nella terra dei lupi" sono gli uomini le bestie più feroci

"Nella terra dei lupi" sono gli uomini le bestie più feroci

Seba Pezzani

È una terra dura, selvaggia, ma comunque esposta al degrado e all'incuria della modernità, quella del Montana in cui si dipana l'intenso romanzo Nella terra dei lupi (Neri Pozza, pagg. 299, euro 18, traduzione di Norman Gobetti) di Joe Wilkins, un autore originario proprio di quelle zone. Dovrebbe appartenere ai lupi, quella terra, cuore ancestrale di credenze di popoli nativi ormai cancellati dal paesaggio e dalla storia. Così, quando nella cittadina di Delphia si sparge la voce che sta per avere luogo la prima partita di caccia al lupo organizzata nello stato del Montana da oltre trent'anni, quella che si profila all'orizzonte è ben più della scampagnata venatoria di un gruppo di bellicosi cacciatori. In gioco sono lo spirito stesso di quell'angolo dimenticato di mondo, la sopravvivenza dell'animale più schivo della zona, finora protetto, oltre che la tutela di delicati equilibri sociopolitici locali.

Naturalmente, per fare un buon romanzo non bastano un'ambientazione vincente e un evento scatenante. Joe Wilkins lo sa bene e traccia un quadro drammatico che non è poi così difficile far risalire alla sua infanzia, segnata dalla morte prematura del padre. Il personaggio principale (o meglio, uno dei due protagonisti) è Wendell, un contadino in grave difficoltà economica il cui padre, accusato d'omicidio, è scomparso da anni tra le montagne. La sua vita, comunque impostata sui ritmi blandi di una provincia lontana da strepiti e lustrini, è sconvolta dall'arrivo inatteso di Rowdy, figlio della cugina Lacy, in galera per spaccio, un bambino di cui ignorava l'esistenza, che ha un pesante deficit cognitivo e che gli viene temporaneamente affidato in quanto parente più stretto. L'altra figura cardine è quella di Gillian, vicepreside della scuola che si occupa degli allievi più in difficoltà e che inevitabilmente inizierà a gravitare intorno a Wendell, malgrado il tragico legame che congiunge e oppone le due famiglie.

Disagio personale, alto indice di disoccupazione, metanfetamine in abbondanza, violenza, noia, ossessione per la tradizione, depressione. È questo il Montana di Joe Wilkins, in fondo non tanto diverso dall'Arkansas di Daniel Woodrell (chi non ricorda le atmosfere cupe del film Un gelido inverno, tratto dal romanzo omonimo?) e dal North Carolina di Ron Rash, un territorio che, al pari di quasi tutta la provincia rurale americana, considera diritto sacrosanto del cittadino armarsi e uccidere la fauna selvatica. Così è sempre stato: il lupo non può comandare. Non a caso, uno dei protagonisti del romanzo dichiara: «quel lupo era sulla mia terra».

Come se non poter ammazzare un lupo fosse l'ennesima privazione della libertà individuale, l'ennesimo strappo con il lontanissimo governo federale, tollerato ma non certo amato nelle selvagge Bull Mountains del Montana, un ambiente vincente, a sua volta protagonista di un romanzo in cui suspense e intensità sono assicurate.

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