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The OA, com’è la seconda stagione

La seconda stagione di The OA è più fantascientifica della prima, con la teoria di più universi già conosciuta in Fringe e L’Uomo nell’Alto Castello

The OA, com’è la seconda stagione

La prima stagione di The OA si è contraddistinta per la sua originalità nel raccontare dramma e fantascienza, nella seconda perde questa unicità raccontando una storia già nota, che tuttavia i fan apprezzeranno.

I primi otto episodi di The OA hanno mostrato i sette anni in cui Prairie è rimasta rinchiusa insieme a Homer e gli altri compagni, tenuti sotto osservazione in una prigione di vetro e costretti a subire gli esperimenti di “HAP”, il Dr. Hunter Aloysius Percy. Oggetto dei suoi studi erano le esperienze pre-morte delle cavie, con risvolti sempre più inaspettati man mano che si proseguiva nel racconto.

Nella prima stagione, Prairie, tornata in libertà, si fa aiutare da un secondo gruppo di amici per passare dalla propria dimensione ad un’altra, cercando così di ricongiungersi con il suo amore, Homer. Il successo dei primi episodi fu dovuto ad una equilibrata presenza di dramma, fantascienza e qualche accenno inevitabile alla religione, sempre presente quando si racconta qualcosa di inspiegabile. Ora, dopo tre anni dall’esordio su Netflix, The OA torna con altri otto episodi.

Il finale della prima stagione lasciava numerosi punti in sospeso, risolti con i nuovi episodi e subito sostituiti con altri enigmi. Ad inaugurare questo secondo capitolo sono le ricerche di Karim: è sparita una ragazza, c’è un’app con indovinelli che ossessiona i giocatori e tutto questo in qualche modo è collegato alla storia pregressa. Troviamo ancora come protagonista la misteriosa Prairie, interpretata da Brit Marling, e i suoi due gruppi di amici. A cambiare è l’ambientazione principale, o meglio, la linea temporale in cui si trova Prairie.

Quello che era nato come un racconto di rapimenti e fughe, condito da elementi fantasy, con il tempo è divenuto un racconto propriamente sci-fi. Nella seconda stagione questo genere è sviluppato, vengono meno le soluzioni religiose che in precedenza abbiamo avuto modo di vedere, anche se Prairie è ancora definita come “primo angelo”.

La fantascienza che ci racconta The OA non è un esagerato e futuristico mondo difficile da immaginare, ma una realtà non diversa da quella che conosciamo tutti i giorni, con teorie plausibili che stuzzicano la fantasia dello spettatore. Vediamo così più dimensioni, più versioni di noi, viaggi da un mondo ad un altro. Ma non è materiale nuovo, lo abbiamo già conosciuto in altre serie tv sci-fi.

I viaggi da una dimensione ad un altra è uno dei temi principali di Fringe. In quel caso, l’agente Dunham (Anna Torv) e Peter Bishop (Joshua Jackson) si muovono tra due dimensioni in cui gli eventi si sono svolti in modi simili, le differenze vanno dal colore dei capelli di un personaggio, all’esistenza ancora delle Torri gemelle a New York. A sua volta però le molteplici realtà sono state affrontate, a livello storico, nel libro di Philip K. Dick La svastica sul sole e poi nella sua serie tv L’uomo nell’Alto Castello. Qui la protagonista viaggia da una linea temporale ad un’altra: in uno i nazisti hanno vinto la seconda guerra mondiale, nell’altro sono stati sconfitti.

Nella prima stagione di The OA il tema del multiverso è solo accennato, nella seconda è il cuore della storia.

Questa riproposizione, visti i precedenti citati, non è di certo un problema, anzi definisce la serie per quello che vuole essere e va a popolare il genere trattato di un nuovo esempio circa la teoria di più universi e delle differenti versioni di noi stessi.

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