«Ora gioco coi cervelloni poi vorrei fare uno show dedicato agli adolescenti»

«Ora gioco coi cervelloni poi vorrei fare uno show dedicato agli adolescenti»

Una volta tanto per fare tv ci vorrà del cervello. E non è un gioco di parole: in un palinsesto dominato dal vuoto pneumatico, ecco arrivare - per due sabato, da stasera alle 21,10 su Raiuno - Superbrain. Ovvero come fare spettacolo spremendosi le meningi. E a condurre il gioco (con l'ausilio del neurologo Giacomo Koch e di Anna Falchi, Sergio Assisi, Roberto Farnesi) sarà Paola Perego.
Un ritorno all'intelligenza televisiva, dopo tanta idiozia mediatica?
«Più semplicemente la curiosità e lo stupore che le prodezze del cervello possono suscitare. Non siamo Einstein: usiamo la scienza per fare spettacolo. In tv non c'è solo Superquark».
Ma in che consiste precisamente Superbrain?
«In sei coppie a puntata che si sfideranno con giochi basati sulle capacità mnemoniche. Si tratta di personaggi di tutte le età, capaci di prodezze stupefacenti: ricordare a memoria interi dizionari, calcolare il tempo meglio d'un cronometro, poi ci saranno i “neuroncini”, capaci di ricordare dettagli incredibili su argomenti bizzarri. Il tutto corredato di scenografie tecnologiche. Uno show diverso, un esperimento di cui accetto volentieri le incognite».
Ma non sarebbe stato più sicuro per lei riprendere il successo di Attenti a quei due?
"Temo che difficilmente la Rai possa riprendere Attenti a quei due. Un successo, si, ma costoso. La sua attrattiva era basata sul prestigio dei vip protagonisti. Anche la tv deve affrontare la crisi: ormai gli show devono essere d'alta qualità ma di basso impegno produttivo".
E il fatto che lei torni con uno show in cui si deve usare il cervello, dopo reality come La talpa o La fattoria, in cui quell'uso era limitato, significa qualcosa?
"Ma no. In tv ci vuole questo e quello. E poi non è vero che per partecipare ad un reality non sia necessario avere un cervello. Oggi ne esistono di tutti i tipi: sui viaggi, sulla cucina, sull'avventura. Tutti settori che richiedono un talento specifico. Ecco perché il reality non muore. Si trasforma. È come il varietà. Ricorda quando tutti profetizzavano “Il varietà è morto”? E invece il varietà cambia; ma è sempre qui».
Nel 2009 rinunciò a La tribù, nel 2012 a Punto su di te; talvolta è rimasta a lungo lontana dallo schermo. Tutti quei no l'hanno danneggiata?
«Al contrario. Alle volte è più importante dire no che si. Ma io non sono mai stata una presenzialista. Fare la tv solo per farla - soprattutto quando un certo tipo di cattiva tv si limita a macinarti e a sputarti via - non m'interessa. Io devo credere in quello che faccio. E sono anche disposta a rischiare, per farlo. Dopodichè può andarti bene come può andarti male. Però almeno ci hai provato».
A giugno scade il suo contratto con la Rai. Ma sembra che Giancarlo Leone la stimi e sia già pronto a rinnovarglielo. Ha già qualche progetto?
«Tantissimi. Ma il mio vero sogno sarebbe un programma sugli adolescenti. L'idea m'è venuta dopo la felice esperienza dello spazio dedicato ai ragazzi che conducevo all'interno di Domenica in. Darei la parola ai giovani, per aiutare noi adulti a capirli. Con i ragazzi stiamo sempre lì col dito puntato. Ma noi che facciamo per comprenderli? Siamo sicuri che le colpe siano solo loro? Che società gli abbiamo consegnato? Il progetto è già scritto e definito.

Lo proporrò alla Rai appena possibile».
L'adolescenza è per definizione l'età più sfuggente e difficile. E il pubblico adolescente non sarà da meno.
«Ai teen agers si dedica poco spazio in tv? Beh: quello spazio sono pronta ad occuparlo io».

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