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"Orfeo" agli inferi con austerità

Applausi per il capolavoro di Monteverdi rivisitato da Pizzi

"Orfeo" agli inferi con austerità

Spoleto. Una decina di ragazzi biancovestiti sfrecciano su biciclette luminose, fendendo un'immensa piazza medievale. Portano guanti e mascherine nere, volteggiano scattandosi selfie. Attacca così, con impertinente accenno alla modernità dello spartito seicentesco (fra poco la cantante che raffigura la Musica brandirà addirittura un microfono), l'Orfeo di Claudio Monteverdi che giovedì ha inaugurato il Festival di Spoleto 2020. Produzione sotto molti aspetti unica: per la performance isolata in una rassegna tutta fatta di «numeri singoli» (ogni spettacolo una sola rappresentazione); per la piazza del Duomo che le faceva da irripetibile quanto dispersiva scenografia; per la sfida di rappresentare un'opera da camera in uno spazio enorme ed aperto. Ma a raccogliere la sfida c'era Pier Luigi Pizzi; cioè il massimo dei maestri di rappresentazioni barocche. Il quale ha avuto buon gioco nel declinare i bisogni di austerità imposti dal Covid col lavoro di sottrazione cui, negli ultimi anni, ha sottoposto le sue fastose fantasie teatrali. Ecco allora una semplice pedana rialzata che collega il sagrato del Duomo al vicino teatro Caio Melisso, su cui, in moderni abiti bianchi e neri, i cantanti intrecciano danze bucoliche o seguono attoniti il viaggio che Orfeo intraprende verso gli inferi, le cui soglie sono le porte stesse del teatro, immerse in vapori luciferini e attraversate da funeree figure velate. Se la presenza dell'orchestra sulla pedana -l'Accademia bizantina diretta da Ottavio Dantone- da una parte accentua l'impressione di assistere ad un concerto in forma semi-scenica, dall'altra valorizza i suoni moderni di una partitura che, risalendo agli albori dell'opera, non avrebbe alcuna presa su un pubblico popolare, mentre può sedurre l'uditorio di un festival.

Così il pathos della spettrale aria Possente spirto, con la quale Orfeo addormenta Caronte, grazie al dialogo che Pizzi organizza tra gli strumenti antichi e il bravo interprete Giovanni Sala risulta ancora più penetrante; e allo stesso modo il viaggio di Euridice dalle tenebre alla luce non avrebbe la stessa efficacia

emotiva senza questa semplice sottolineatura visivo-musicale. Peccato solo che la necessaria (e discreta) amplificazione metta in luce anche l'inadeguatezza di alcune voci. Il successo finale è comunque garantito. E meritato.

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