Cultura e Spettacoli

Palahniuk fra gli "urlatori" di Hollywood mette in scena il business del dolore

Il nuovo, inquietante romanzo è ambientato fra i "doppiatori di grida"

Palahniuk fra gli "urlatori" di Hollywood mette in scena il business del dolore

Forse non tutti sanno che nel mondo dei doppiatori esiste la figura del «rumorista»: è l'attore specializzato a dar voce a risate, sogghigni, urla. «Che lavoro fai?», «Il doppiatore». «Ah, che bello, di quale attore?» «Tanti, ma doppio solo le urla». Immaginate un dialogo di questo tenore, quasi surreale: nessuno poteva scriverne, e addirittura scriverci un romanzo, se non Chuck Palahniuk che con L'invenzione del suono racconta questo aspetto singolare di Hollywood. Lo scrittore che ha indagato la violenza sotterranea con Fight Club, il racconto di combattimenti clandestini sino all'ultimo sangue in un'America dissanguata dal consumismo (diventato poi un film di David Fincher con protagonista Brad Pitt), l'autore che ha raccontato la superficialità dei rapporti umani ormai mediata dall'estetica (chirurgica) in Invisible Monsters, che ha sbeffeggiato l'evangelizzazione mediatica delle sette religiose statunitensi in Survivor, che ha messo alla berlina chi è disposto a tutto pur di qualche minuto di popolarità televisiva in Cavie, in questo suo nuovo romanzo (pubblicato come tutti i suoi libri da Mondadori, tradotto come tutti i suoi da Gianni Pannofino, pagg. 240, euro 18) racconta il pericolo della mercificazione del dolore.

Una dei protagonisti - che si alterna nella narrazione con un padre investigatore che cerca la figlia scomparsa da diciassette anni ed è sul punto di trovarla - è un'artista esperta nei suoni che enfatizzano la violenza e l'orrore nei film, apprezzata nel ricreare urla tanto agghiaccianti quanto reali e ricercata da tutti gli studios di Hollywood. Ed è proprio tra le ombre di Hollywood che i destini dei due personaggi si incontrano. Chuck Palahniuk (nato nel 1962 a Pasco, Washington) non tradisce la sua formazione di giornalista e ha indagato per mesi sul mondo delle «urla» nel cinema incontrando doppiatori, attori, produttori e riportando tantissimi aneddoti come ha dichiarato in una intervista al New York Times: si è ispirato tantissimo a Mercedes McCambridge, de L'esorcista che «ingoiava uova crude, fumava incatenata e tracannava whisky per rovinarsi la voce, poi pretendeva che la troupe la legasse ad una sedia in modo che potesse dimenarsi mentre urlava gemme come La scrofa è mia! e Tua madre fa la prostituta all'inferno». Da lì nasce la rumorista Mitzi Ives, sempre alla ricerca dell'«urlo perfetto», una donna impasticcata, masochista e al limite della psicosi. Tra i personaggi c'è anche l'evanescente star del cinema Blush Gentry, autrice dell'autobiografia Oscarpocalypse Now e metafora della demenzialità del successo quando è evanescente.

L'invenzione del suono è un romanzo oscuro, inquietante, ma ben lontano di libri horror. Passando da un personaggio all'altro, Palahniuk crea non tanto una narrazione multipla in terza persona quanto un mosaico di storia, con ogni voce collegata attraverso un filo comune di rabbia, disperazione e un bisogno radicato di capire i propri lati oscuri. Palahniuk attraverso le loro vite accusa Hollywood di perpetrare la violenza verso le donne, verso i bambini e verso «il genere umano». Abbiamo visto molte condanne dei mali del capitalismo da parte di Palahniuk nel corso degli anni: qui satireggia sull'oscuro pragmatismo dell'industria dell'intrattenimento che si giustifica con il fine giustifica i mezzi in un finale orribile, ma tristemente logico: il profitto derivato dal dolore è ancora profitto; tutto si riduce a ciò che si è disposti ad accettare come costo per fare affari e questo è vero nel mondo dei creativi come in qualsiasi altro lavoro.

È un Chuck Palahniuk che ritrova lo stile di scrittura serrato che ha caratterizzato i suoi primi libri e che da qualche suo romanzo non trovavamo più. In questo romanzo ritrova una nuova energia che lo rende riuscitissimo, spesso anche divertente malgrado l'argomento, e certamente di una rara acutezza nel prevedere anche i danni sempre maggiori della società dello spettacolo. Se anni fa La società dello spettacolo di Guy Debord diede inizio alla sociologia di una società che si nutre e vive di immagini, qui Palahniuk dimostra che in quel mondo ormai ci stiamo già vivendo senza nemmeno accorgercene.

E questo, per un romanzo, non è affatto poco.

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