La pandemia (ri)dimostra il disastro dello statalismo

Huerta de Soto analizza l'ennesimo fallimento delle recenti politiche di pianificazione centrale

La pandemia (ri)dimostra il disastro dello statalismo

Per gentile concessione di Ibl Libri pubblichiamo la Prefazione di Nicola Porro al saggio Pandemia e dirigismo. Come uscire da uno stato di crisi permanente scritto da Jesús Huerta de Soto con Bernardo Ferrero (pagg. 271, euro 18). Jesús Huerta de Soto è professore di Economia applicata all’Università Rey Juan Carlos di Madrid e uno degli esponenti più rappresentativi della moderna Scuola austriaca di economia

L' ultimo capitolo di questo libro (Pandemia e dirigismo di Jesús Huerta de Soto, Ibl Libri) è il più attuale ed è dedicato alla pandemia e alle sue conseguenze economiche. La Scuola austriaca, come si è fino ad ora detto, è convinta che l'intervento dell'uomo sia la causa principale del susseguirsi dei cicli economici. Sia nella fase in cui si creano le bolle, sia in quella in cui non si contribuisce correttamente alla gestione del loro scoppio. Oltre all'interventismo umano ci sono anche fattori esterni, variabili non controllabili, che rompono l'equilibrio. Guerre e pandemie accadono e impattano sui cicli economici. Per farla semplice, anche nel mondo più austriaco possibile senza banche centrali, senza riserva frazionaria e con il denaro privatizzato, una pandemia come quella del 2020-2022 avrebbe avuto conseguenze pesanti sugli attori del mercato. La prima considerazione prende a prestito catastrofi simili avvenute nella storia e analizza il loro impatto sul mercato del lavoro.

Per Huerta de Soto, che analizza senza imbarazzi i numeri, a differenza della Spagnola e della Prima guerra mondiale, questa emergenza non sta avendo significativi effetti sull'offerta di lavoro: non provoca tensioni sui salari. La malattia colpisce in modo letale una fascia della popolazione più vecchia e fragile e per lo più non attiva. Anche dal punto di vista delle preferenze di consumo, a differenza della peste di Boccaccio, non si nota un cambiamento significativo «nel tasso sociale di preferenza temporale»: insomma la popolazione non tende a prediligere il consumo sfrenato all'investimento. D'altra parte, i lockdown e le nuove tecnologie di consumo non hanno neanche troppo alterato la struttura della produzione e, a «differenza di quanto accaduto nella Grande recessione del 2008, infatti, la struttura produttiva non è stata danneggiata in modo irreversibile».

Lavoro, consumi e investimenti, pur non drasticamente compromessi dalla pandemia, hanno subito degli shock, ad esempio dai lockdown, e a questo punto si deve stare molto attenti nel lasciare libere le forze produttive nel riorganizzarsi, nel rispondere autonomamente a ciò che è avvenuto. I processi di aggiustamento non possono essere calati dall'alto, ma devono essere favoriti. Il punto di vista che troverete in queste pagine è che la pandemia, pur cambiando le abitudini e accelerando le tendenze già in essere, ad esempio quelle digitali, non ha conseguenze di lungo periodo, ma di breve e medio.

Invece la pandemia ha offerto un esempio concreto, reale e a noi vicino delle teorie di Mises sull'impossibilità del socialismo: «Cioè che è impossibile che un pianificatore centrale riesca a dare un contenuto coordinatore ai suoi mandati, per quanto necessari questi possano sembrare, per quanto nobile sia l'obiettivo perseguito o per quanta buona fede e sforzo abbia messo nel realizzarli». La pandemia ha dunque rappresentato una favolosa arma per gli Stati e i politici che si sono riappropriati di un ruolo e di un peso nella società e nei mercati che non si vedeva da tempo. Il tutto condito con un'informazione manipolata e da guerra. Ma, esattamente come avrebbe profetizzato Ludwig von Mises se fosse ancora fra noi, il risultato è stato disastroso, dalla gestione centralizzata degli ospedali, agli obblighi assurdi della mascherina previsti dalla pianificazione centrale. Gli autori di questo libro si fanno una domanda che nessuno dei suoi lettori liberali può eludere: da cosa è dipesa l'accondiscendenza dei cittadini a questa nuova forma di intervento dall'alto? La risposta la trovano nel Discorso sulla servitù volontaria di Étienne de La Boétie, e in quella «perenne auto-rappresentazione del potere politico con un'etichetta sacra (nomina divina in passato, sovranità popolare e sostegno democratico oggi), che legittimerebbe il presunto obbligo di obbedienza».

A cui si devono aggiungere altri fattori: queste decisioni politiche producono continuamente nuovi sostenitori incondizionati; i sussidi comprano il sostegno popolare e ci assicurano società che dipendono sempre di più dallo Stato e da chi ne tiene le redini.

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