Paul Wittgenstein, il mancino da riscoprire

C'era una volta un magnate della siderurgia, amico di Brahms e munifico protagonista della vita artistica e sociale durante la Secessione viennese, Karl Wittgenstein. Nella sua vasta discendenza maschile nessuno volle seguire l'attività industriale: Ludwig divenne il celebre filosofo che sappiamo, Rudi, Kurt e Hans si suicidarono (uno perché scoperto omosessuale; l'altro per sfuggire alla cattura in guerra e l'ultimo per divergenze col padre). Le sorelle litigarono coi fratelli superstiti per l'enorme eredità salvata in Svizzera, finendo col cederla in gran parte ai contabili nazisti che a prezzo di moneta trasformarono le radici ebraiche della famiglia Wittgenstein in non perseguibili meticci. Questa storia terribile, emblematica della grande borghesia austriaca, in drammatico clima fra Musil e Mann, ci viene raccontata in un agile libretto che si legge d'un fiato, Paul Wittgenstein l'uomo dimezzato (Edizioni Ogni uomo è tutti gli uomini). L'autore Guido Giannuzzi illustra con asciutto scrupolo la vita unica di un altro Wittgenstein, Paul, pianista che la guerra mutilò della mano destra. Con forza d'animo incredibile riprese a studiare, commissionando ad alcuni dei maggiori compositori del suo tempo (Ravel, Strauss, Prokof'ev, Britten, Hindemith, Korngold) concerti per pianoforte e mano sinistra.

A lettura ultimata non interessa sapere se Wittgenstein fosse stato un pianista mediocre o un fenomeno da esibizione. Rimane la straordinaria «intelligenza di aver messo un grande patrimonio al servizio della musica, per creare capolavori che, come il concerto di Ravel, gli sopravvivranno per secoli»».

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