Nell'oceano di banalità che immancabilmente si riversano sull'apertura del Teatro alla Scala spiccano le dichiarazioni dei responsabili della regia, vedettes incontrastate che sottraggono riflettori e spazi al versante musicale - direttore d'orchestra, cantanti, (defunto) compositore compreso. Ovviamente, i suddetti registi, sono tutti grandi ammiratori della musica del celebrato compositore. Partono, però, dal dogma che l'opera debba essere «aggiornata». Guai a eccepire, pena la sentenza di essere fuori dal tempo. Non poteva fare eccezione il regista russo Dimitri Tcherniakov, a cui è stata affidata la messa in scena della Traviata. In alcune Note di regia a sua firma, egli afferma: «Come è noto, La traviata nasce nel 1853. A quel tempo, era un rarissimo esempio di opera lirica che parlava della contemporaneità. E proprio in questo sta la grande sfida di Verdi a quelli che percepiscono l'opera come una meravigliosa illusione del passato. Un'idea che tuttavia non ha più nulla a che fare con chi oggi sta seduto in sala».
C'è qualcuno che non considera l'opera «illusione» - né la vorrebbe anticaglia museale, ma la sente come una meravigliosa fiaba per adulti (che non esclude possa essere cruda, amara, violenta metafora del presente). Un racconto che diventa vivo, a certe condizioni, prima fra tutte il non completo stravolgimento del suo senso. Quanto poi alla certezza che «chi sta seduto in sala», soprattutto alla «prima» scaligera, sia venuto a seguire quanto avviene in scena, meglio stendere un velo. Non si dovrebbe dimenticare che Verdi stesso, un secolo e mezzo fa, indicò il pericolo di un'esecuzione «a controsenso», che «fa l'effetto d'un quadro visto a l'Ave Maria di sera: s'indovinano a stento le figure, ma nulla si vede del colorito, del disegno, della prospettiva e soprattutto dell'espressione delle figure. Tutto sembra scuro e monotono». Chissà se certi iconoclasti per progetto sono stati punti dalla curiosità di leggere quanto Verdi nelle sue lettere si affanna a «predicare» sugli stravolgimenti. Il compositore si rifiutò di andare a Roma a sentire Traviata «perché la Censura ha guastato il senso del dramma». Gli zelanti censori del Papa Re avevano «ritoccato» la drammaturgia (cosa oggi largamente praticata): Violetta era una giovane illibata, Alfredo il suo primo palpito. Essa rinunciava all'amore per consentire al fidanzato di convolare a nozze con una sposa facoltosa e salvare la famiglia Germont dalla bancarotta. La censura «ha fatto la Traviata pura ed innocente», tuonava Verdi, «Tante grazie! Una puttana deve essere sempre puttana. Se nella notte splendesse il sole non sarebbe più notte». Per Tcherniakov l'identificazione nella vicenda di Violetta avviene aggiungendo il nostro «vissuto» di uomini moderni «più esperti, più complessi, più sofisticati, più introversi». Siamo così sicuri di essere più complessi della società descritta da Honoré de Balzac e Gustave Flaubert? Tcherniakov prosegue affermando che la denuncia sociale della doppia morale borghese, i pregiudizi ecc., passa in secondo piano. Egli annuncia una Traviata intimista, concentrata sulla percezione dell'Amore. «L'uomo moderno spesso ha paura dell'amore», chiosa Tcherniakov. «Per molti è una debolezza, una sconfitta. Temiamo di credere a questo sentimento, di fidarci di un'altra persona, di concederle tutto di noi stessi. Per noi è più comodo non credere nell'amore, perché l'amore è anche paura. Paura della dipendenza, di nuove offese, di nuovo dolore. Paura del rifiuto. È più comodo restare protetti, è più comodo giocare. Tutto è gioco, tutto è manipolazione. Se giochi, sei protetto».
Dall'anteprima oltre ai giochi mentali, trapelano indiscrezioni sulla regia «bergmaniana» di questa Traviata. A parte le cronache del successo fra i giovani, le lodi dei diretti interessati e i fervorini dei gazzettieri, si vocifera di una Violetta che nel 2013 non può morire di tisi e di un Alfredo che nella casa di campagna placa i suoi «bollenti spiriti» stendendo la pasta per la pizza o le fettuccine. Scene ottocentesche, costumi come ad una soirée di gala novecento con elementi di «disturbo» (ragazzi con gli anfibi).
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