nostro inviato a Venezia
No Gosling, no president, no smoking. No party. Comincia Venezia, ma la festa è rimandata. L'edizione 2016, numero 73, ha numeri altissimi per il voto medio (previsto) dei film in concorso e fuori, per le prime mondiali, per il business stimato dagli addetti ai lavori di passaggio al Lido per vendere, acquistare e coprodurre, addirittura per la lode concessa a schermi ancora bui dalla stampa straniera alla Mostra, strapromossa rispetto a Toronto ma il profilo è basso.
Per via del terrorismo l'attenzione è massima, ma le luci attenuate. Meglio non farsi notare: i controlli sono rigidissimi. Il Lido non è blindato ma ingessato sì. Parliamo piano, il nemico che nessuno nomina (ci) ascolta. Siamo tutti qui per divertire e divertirci, ma il clima è inquieto. I taxisti prima di caricare la valigia in macchina ti chiedono a che albergo scendi, vogliono vedere la prenotazione («Sono regole della sicurezza»), ti avvertono che faranno un giro più largo per non entrare nell'area interdetta alle auto, poi ti indicano le camionette dei militari che sono spuntate ieri, quindi incroci le pattuglie della polizia, e dopo ancora i carabinieri con i giubbotti antiproiettile, fermi ai sei varchi di accesso alla zona rossa intorno alla cittadella del Cinema. E poi, alla fine, a piedi, ti trovi a zigzagare tra i blocchi di cemento armato (rivestiti da eleganti teli blu marchiati dal Leone) che tagliano strade e viali per fermare camion-kamikaze e tenere lontano lo spettro che aleggia ancora sulla Promenade di Nizza. Tutte cose che innalzano la sicurezza, ma che abbassano l'eccitazione del festival. Dissuasori di attentatori, ma anche di tentazioni.
E per via del terremoto è anche peggio. Sono stati annullati la cena di gala e il tradizionale (ed elegante e vezzoso, come si addice al Lido) ricevimento sulla spiaggia. È stato aperto un doveroso conto corrente per le donazioni, ma è stato oscurato lo charme del festival. Anche il direttore Alberto Barbera ha preferito defilarsi mediaticamente e non concedere la tradizionale chiacchierata del debutto con i giornalisti. E ieri sera, dopo la defezione istituzionale del presidente della Repubblica Sergio Mattarella (Renzi non c'è: il più alto in grado sul tappeto è il ministro Franceschini), per la cerimonia di apertura, sul palco della Sala Grande, il presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta ha indossato un sobrio abito grigio. Lo impone il galateo: no party? No smoking. La vicinanza alle popolazioni terremotate è commovente, la lontananza dal scintillante mondo del cinema un po' retorica. Persino il red carpet in questo clima sottotono è apparso più corto. In più, la star maggiormente attesa lo sciccoso hollywoodiano Ryan Gosling - ha dato forfait. Una festa a metà. A pensarci bene il Leone d'oro alla carriera al regista polacco Jerzy Skolimowski un maestro, e i suoi film sono capolavori, ma, insomma, come dire? Non proprio un divo non aiuta. E il giorno prima dell'inizio del festival, per sfortunata coincidenza, è anche morto Gene Wilder. Hollywood funeral party... Sì, certo la madrina Sonia Bergamasco è bravissima, serissima, impegnatissima. Ma al netto del talento, schiva e rigida, non è certo il massimo del glamour. Ieri mattina, nel photocall sulla spiaggia, i fotografi le gridavano: «Ahoooo Sonia... facci un po' la Marini...». Quello che resta della kermesse. C'è tristezza in Laguna.
Anche lo spettacolo pure in tempi di terrorismo e terremoti ha le sue leggi. La violenza e i drammi, come le crisi, si vincono con il coraggio di tornare a ridere e tornare a spendere. Non ci si nasconde, ma ci si fa vedere. Venezia oggi sembra una Mostra che ha paura di mettersi in mostra.
Far riflettere è solo la seconda missione del cinema. La prima, qualsiasi cosa succeda, è far sognare.Per il resto, siamo sicuri. Sarà una Mostra magnifica, da far invidiare il mondo. Come meriterebbe Venezia, e l'Italia.
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