Polanski torna al thriller con "Quello che non so di lei"

Il regista rielabora alcuni dei temi a lui cari mortificandoli con un soggetto cinematografico usurato e pieno di cliché

 Polanski torna al thriller con "Quello che non so di lei"

Il tema del doppio e il rapporto tra finzione e realtà sono al centro di "Quello che non so di lei", il ventunesimo lungometraggio di Roman Polanski. A quattro anni da "Venere in pelliccia", l'ottantaquattrenne regista dà alle sale un'opera in cui riserva nuovamente il ruolo principale alla moglie, Emmanuelle Seigner, ma stavolta le affianca, come co-protagonista, l'ambigua e affascinante Eva Green.
Delphine (Seigner) è l'autrice di un romanzo best-seller dedicato a sua madre. Nonostante il successo, non vive un periodo felice. L'adorazione dei fan la lascia disorientata ed esausta, mentre le pressioni affinché scriva un nuovo libro scaturiscono in lei un senso di inadeguatezza, visto che ha perso l'ispirazione. La donna è turbata, inoltre, dall'arrivo di lettere anonime che l'accusano di avere messo in piazza storie della sua famiglia per denaro. A strapparla a questa fase di stallo è una nuova conoscenza: Leila (Green), una sua appassionata lettrice che lavora come ghostwriter. La giovane, comprensiva e motivante, si rende ben presto indispensabile, al punto da trasferirsi a casa di Delphine. Peccato che, col passare dei giorni, emerga la sua natura ossessiva e manipolatrice.
Ispirato al romanzo "Da una storia vera" di Delhine De Vigan, il film gioca su ambiguità e suggestioni, in modo da instillare dubbi nello spettatore circa cosa sia reale e cosa sia la proiezione onirica di una mente fragile.
La regia è sobria, priva di manierismi, le inquadrature pulite, la recitazione impeccabile, eppure qualcosa non funziona a dovere se la tensione scaturisce più dalle musiche di Alexandre Desplat che da quanto narrato.
La Seigner, sofferta e trascurata, regala autenticità a un personaggio le cui azioni, però, in un paio di occasioni, spiccano per ingenuità al punto da far sorridere. Quanto alla Green è ancora una volta alle prese con il ruolo che più la mette in risalto, quello della femme fatale infida e seducente. E' la prima volta che Polanski contrappone due figure femminili in una sorta di Eva contro Eva, ma lo fa in una trama senza originalità, limitandosi a proporre una carrellata di déjà-vu cinematografici, da "Misery non deve morire" a "Inserzione pericolosa". Quello del blocco dello scrittore è un cliché stanco e usurato, qui ravvivato solo in parte dall'esplorazione delle contorte dinamiche alla base del processo creativo.
Pur mischiando giallo vecchia maniera e thriller psicologico, "Quello che non so di lei" si rivela un dramma da camera confuso, che poggia interamente sulle spalle di due ottime interpreti la cui performance, in alcuni momenti, è sabotata da dialoghi risibili.


Per mantenere un'atmosfera misteriosa, il film suggerisce molti argomenti senza mai approfondirli, finendo per mancare d'incisività e attrattiva.
In sostanza, l'opera deludente di quello che resta un grande maestro.

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