Dei maestri non si butta via niente. E così, del «prof» Giuseppe Pontiggia (1934-2003), per gli amici Peppo, per gli editori un affare, si pubblica tutto (e non è detto sia un male).
E quattro. Dopo la morte del grande «scrittore esperto di scrittori», ecco il quarto libro che raccoglie le sue lezioni di scrittura espressiva et similia. Nel 2006 esce I classici in prima persona (Mondadori) con il testo di un incontro tenuto all'università di Bologna, più un breve saggio, sul concetto di «classico», sui suoi scrittori di riferimento, sul canone letterario... Nel 2016 arriva Dentro la sera. Conversazioni sullo scrivere (Belleville), la trascrizione delle lezioni di scrittura che Pontiggia tenne su Rai-Radio Due nel 1994. Nel 2018 appare Le parole necessarie. Tecniche della scrittura e utopia della lettura (Marietti) con tre conferenze su come si scrive e su come si legge. E oggi ecco Per scrivere bene imparate a nuotare (Mondadori) che raccoglie 33 conversazioni sulla scrittura apparse sulla rivista letteraria di Giorgio Dell'Arti Wimbledon tra il 1990 e il '93 (in realtà interviste in cui sia le domande sia le risposte sono scritte da Pontiggia), più quattro pezzi a tema usciti su Sette nell'estate 1994.
Comunque, non è questo il punto. Il punto è che ascoltare (in radio, dal vivo o sulla pagina) un maestro come Pontiggia quando parla di stile, trame, sfumature del linguaggio, figure retoriche, incipit, dialoghi... è meglio (no: molto meglio) che leggere la maggior parte dei romanzi italiani di oggi. Gli autori di tanti dei quali dovrebbero studiare i «manuali» che Pontiggia da vivo non volle mai pubblicare, e che da morto sforna a ritmo continuo.
Ma passiamo al libro. Ecco una personalissima interpretazione del Pontiggia-pensiero. Regola numero uno: «Chi pensa che scrittori si nasce, si sbaglia». Scrivere come suonare uno strumento o disegnare presuppone l'acquisizione di una tecnica. Senza, non vai da nessuna parte. Regola numero due: per imparare a scrivere bene, occorre imparare a leggere meglio. Ed ecco l'importanza della lettura dei classici e dei grandi scrittori per impratichirsi su ciò che sta bene e ciò che sta male sulla pagina. Regola numero tre: una volta imparate le regole, inventati il modo più originale per infrangerle.
Per il resto, le lezioni di Pontiggia - scrittore che del lavoro in banca conservò la precisione e del collezionare libri la follia - sono ricchissime di consigli pratici (soprattutto sull'uso degli aggettivi e degli avverbi), di aneddoti (sugli scrittori, ma non solo: si legga l'efficacia di certe risposte di Reinhold Messner a certe domande stupide nelle interviste di giornalisti anche famosi), di esempi (la minuziosissima descrizione della torta nuziale in Madame Bovary, che non è certo fine a se stessa, ma diventa l'occasione per un elegante sberleffo alla stupidità borghese), di aforismi (una vera arte per Pontiggia), di giochi linguistici (si consiglia la lezione intitolata «Quando la retorica diventa pericolosa»), di giudizi letterari (partendo ad esempio dalla scelta dei nomi dei personaggi per un romanzo, dall'inarrivabile «K.
» di Kafka al meno fortunato, per quanto riguarda il cognome almeno, Zeno Cosini di Italo Svevo, autore sul quale Pontiggia scrisse la tesi di laurea). E di domande che è meglio rimangano senza risposta: il Marcel Narratore della Recherche, il cui nome è pronunciato in tutto il romanzo solo due volte da Albertine, è lo stesso Autore?
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