Pose, profili e profezie Lo scatto in più del genio

Le star del cinema, dell'arte e della letteratura stavano in fila per essere fotografate da lui. E lui aveva una parola... cattiva per tutti. In un libro le immagini più belle corredate dai suoi giudizi. Una biografia di massa del mondo dello spettacolo

Pose, profili e profezie Lo scatto in più del genio

Cecil Beaton, ovvero il Novecento. Alla fine degli anni Venti ha già scattato foto rimaste nella storia, nonostante sia nato nel 1904, in una famiglia ricca ma borghese di Hampshire, in Inghilterra. Durante la Seconda guerra mondiale, su segnalazione della regina Elisabetta, Beaton collabora col ministero dell'Informazione e trasforma la propaganda in arte. Le star di Hollywood fanno la coda fuori dallo studio per avere un ritratto realizzato da lui. Nel frattempo, visto che è in California, vince anche un paio di Oscar per i costumi di Gigi (1958) e My Fair Lady (1964). La Swinging London dei Sessanta lo vede in pista coi Rolling Stones, Mick Jagger in particolare. E le avanguardie artistiche e letterarie? Dalí, Bacon, Lucian Freud, Hockney, Warhol: Beaton ha messo tutti quanti davanti alla sua camera. Il bullo Evelyn Waugh era suo nemico d'infanzia, W. Somerset Maugham era il marito della sua migliore amica, Aldous Huxley un intellettuale da ammirare, T.S. Eliot un ammiratore, Paul Bowles un compagno di viaggi. E Truman Capote forse non sarebbe diventato Truman Capote senza eleggere come guida proprio Cecil Beaton.

Oltre a scattare foto, Beaton trascriveva le impressioni sulle persone che aveva appena fotografato. I suoi diari esistono in due versioni: quella pubblicata in vita, molto garbata; e quella pubblicata postuma, molto sferzante. Cecil Beaton. Portraits and Profiles (a cura di Hugo Vickers, Frances Lincoln Publishers, pagg. 288, £ 30) unisce foto e corrispondente pagina di diario (versione non purgata). A completare il tutto, e talvolta a ricondurre il lettore nei binari dell'oggettività, ci pensano le note di Vickers, al quale Beaton stesso ha affidato le sue carte prima di morire nel 1980. Il risultato è una «biografia di massa» dello show business del XX secolo (e qualcosa in più, visto che nel libro ci sono anche le foto di guerra, dei politici, della regina, degli scrittori e degli artisti).

Quando scrive, Beaton si sofferma sulle caratteristiche fisiche, le stesse che cerca di far emergere, o di correggere, nelle immagini. Ma dal corpo all'anima talvolta il passo è breve. E anche quando le pagine sono benevole, l'autore non rinuncia a un po' di cattiveria. Nel 1937 racconta di Marlene Dietrich, che ammirava: «Quando partecipa a un party, se ne va presto dicendo: “Sono stanca. Ho scritto moltissimo”. Per scrivere intende firmare autografi. Adora vedere il suo nome sui cartelloni illuminati e leggere i ritagli di stampa che parlano di lei. Nessun fan è così entusiasta di Marlene quanto Marlene». Marlon Brando suscita in lui qualche dubbio: pallido e femminile per certi versi, rude e squadrato come un caprone per altri. «Cerca di mostrarsi più duro di quello che è? Cela intelligenza e sensibilità o è un cialtrone che si spaccia per intellettuale? Comunque sia, le sue smorfie anarchiche e il suo portamento sono sempre interessanti da vedere sullo schermo» (1957).

Toccante, e terribilmente profetico, il passaggio su Marilyn Monroe, paragonata a una bambina che nasconde la paura dietro l'esuberanza: «In sua presenza si rimane sorpresi e poi disarmati dalla mancanza di inibizione. Ma ciò che sembra puro esibizionismo è bilanciato da una malinconica incertezza visibile appena sotto la superficie. Questa star è un folletto senza freni ma guarda il suo pubblico in cerca di approvazione. È commovente... Temo che finirà in lacrime» (1956). Manco a dirlo, la foto di Marilyn è un capolavoro. Audrey Hepburn lo entusiasma, l'imperfezione (relativa) dei lineamenti è compensata dal carattere che ne fa «la più interessante incarnazione del nuovo ideale di donna». Elizabeth Taylor è liquidata come una villana rifatta, sovraccarica di gemme varie: «Di fronte a lei, chiunque sembrerebbe una signora». Un discorso a parte merita Greta Garbo, protagonista di una delle poche relazioni eterosessuali di Beaton. Sulla Garbo, Beaton si dilunga. La trova «bella come un'aurora boreale», l'unica stella ancora più brillante quando si spegne l'illusione del grande schermo. Il suo è un autentico mistero che «non può essere distrutto» neppure dalla volgarità di Hollywood. Ciò che in altre donne sarebbe «ridicola affettazione» o «arroganza» in lei è solo «consapevolezza della propria bellezza». La Garbo, aggiunge Beaton, sarà rovinata dalla distanza tra se stessa e i suoi personaggi, tra il suo carattere e la trivialità del cinema: «Non può crescere come persona. Fa bene a difendersi dalla cattiva influenza di Hollywood ma è diventata insensibile a tutto... È superstiziosa, sospettosa, non sa cosa sia l'amicizia. È incapace di amore». Parole di un innamorato tradito? No.

Siamo nel 1937, Beaton e Garbo si conoscono dal 1932 ma soltanto per un breve periodo nei Quaranta diventeranno amanti. Finirà male. Attraverso l'occhio della macchina fotografica, ancora una volta Beaton aveva visto giusto.

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