Potere al telecomando «Una grande famiglia» troppo corretta

Ci sono proprio tutti, genitori fratelli nuore generi moglie e figli, nella sala da pranzo mentre Edoardo fa il suo teatrale ingresso dopo mesi d'inquietante assenza. «La famiglia è il luogo dove si custodiscono i segreti, dove si può sbagliare ed essere accolti, il posto dove si smette di sentirsi soli», riflette lui a voce alta. Ottimo l'inizio, con tanto d'incendio notturno della barca e Gassman che emerge dalle acque nere.
C'è da vedere se la seconda serie di Una grande famiglia, prodotto di punta della stagione di Raiuno, manterrà il livello della prima. Ideata da Ivan Cotroneo, scritta con Stefano Bises e Monica Rametta, diretta da Riccardo Milani, sostenuta da un buon cast, siamo nella tradizione delle grandi saghe insaporite da elementi gialli (lunedì ore 21,20, share del 19,14 per cento). Ovviamente il ritorno di Edoardo scombussola la liaison di Chiara (Stefania Rocca) con il cognato, l'emotività della figlia, l'auto-controllo del padre (Gianni Cavina). Funzionano ambientazioni e scelta geografica. La crisi morde l'imprenditoria e nella famiglia alto borghese di una patinata Brianza (post-berlusconiana?) convivono tre generazioni. Purtroppo, l'esordio ci porta subito nel politicamente corretto. Il ragazzo gay è il più pragmatico e integerrimo perché evita di raccomandare il fidanzato. E quando rivela la sua omosessualità, trova la comprensione del nonno. Solo la madre non lo capisce, ostacolata dalla sua schematica religiosità.
A parte lei, però, le donne sono figure positive. Non così gli uomini, egoisti e ambigui.

Salvo Ernestino, il più piccolo e saggio, autore della frase che scioglie le tensioni della tavolata per il ritorno del padre: «Siamo contenti tutti. Solo che forse non lo sappiamo ancora». Non sarà un po' troppo arguto?
Twitter@MCaverzan


di Maurizio Caverzan

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