Latella scompone da maestro non solo il mito dell'Arlecchino di Strehler ma l'intero excursus di Goldoni nel teatro. Ed era ora perché finalmente, grazie al nostro eccentrico e dotatissimo regista, se ne avvertiva prepotente il bisogno. Invece che nella Venezia paludata dei Dogi, qua e là vivificata dallo scorrere impetuoso del Canal Grande che collegava, ricongiungeva e slegava il destino dell'incomparabile maschera assorta nel gioco schiavista di chi deve servir contemporaneamente due padroni come raccomanda il titolo originale della grande piéce, qui infatti si assiste alla dislocazione in stile beckettiano delle maschere del bel tempo che fu. Tramutate in spauracchi del nostro esasperato vivere sociale, che agiscono sul e nel piano nobile di un hotel stile Wim Wenders. In cui Brighella, truccato da un Valentino sui generis in salsa posthollywoodiana (il geniale Massimiliano Speziani) fa da ufficiale di collegamento tra le bizze del beffardo Pantalone dell'atipico ed esilarante Giovanni Franzoni che, in omaggio al nome di cui è portavoce si affanna a ricercare il pantalone perduto, simbolo dimezzato di un'autorità ormai fuggita da porte, incunaboli e finestre della spregiudicata farsa con brio escogitata dal Cogidor. Mentre la Clarice da sempre affidata alle stucchevoli moine di attrici incantevoli, ma spietate seguaci della tradizione tout court, come la Bertacchi o Giulia Lazzarini, dato che - come si dichiara spesso e volentieri nei dialoghi spiritati che costellano il testo - veste di preferenza abiti maschili è qui affidata al talento multiforme di Elisabetta Valgoi. Che non nasconde certe predilezioni lesbienne che, dure a morire, ne condizionano passi e sospiri come allegre cavalcate sul palcoscenico.
In un diabolico concertato di pezzi di colore affidati alla voce ora languente ora spiritata di Roberto Latini in un crescendo impazzito di inimitabili ricerche di stile.IL SERVITORE DI DUE PADRONI - da Goldoni Regia di Antonio Latella. ER teatro, a Pordenone il 6 maggio.
di Enrico Groppali
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