Quell'attore molto timido che ha sorpassato tutti...

Settant'anni di carriera in punta di piedi: dal film di Risi con Gassman alla delicatezza di "Happy End"

Quell'attore molto timido che ha sorpassato tutti...

È difficile dire che cosa avesse Jean-Louis Trintignant, spentosi ieri di vecchiaia a 91 anni, di più rispetto ai «leoni» francesi della sua generazione, i Belmondo, i Delon, i Ronet, tanto per intenderci e con tre nomi indicare il tutto di un panorama attoriale emerso alla fine degli anni Cinquanta. Aveva Trintignant una bellezza meno sicura e più delicata, una minore fisicità, una timidezza di fondo che non riusciva mai a trasformarsi in sfrontatezza, esibita o reale che fosse Eppure bucava lo schermo Trintignant, semplicemente. Il ragazzo che tutti vorrebbero avere come amico, perché fragile e in fondo da proteggere, il compagno che ogni donna sogna di avere, perché dolce, comprensivo, troppo facilmente feribile per approfittarsene Era questa miscela, come dire, di buoni sentimenti, di capacità di soffrire in proprio che lo faceva unico, che lo faceva amare.

Era nato nel 1930 a Piolenc, piccolo centro del Sud della Francia vicino ad Avignone, e aveva esordito nel film di Roger Vadim Et Dieu créa la femme, del 1956, nel quale era esploso l'estro incantato e pagano di Brigitte Bardot. Vadim ne era allora anche il marito, e Christian Marquand il ragazzo più grande per età e più sicuro di sé di cui BB nel film si incapricciava, ma era Trintignant nella parte del suo timido spasimante e alla sua prima apparizione cinematografica, a rubare da terzo incomodo la scena al rivale in amore, nonché, nella vita, a sostituire il legittimo consorte, nonostante la sua fama di playboy

Tre anni dopo, in Un'estate violenta, era stata la volta del figlio di un gerarca fascista che si innamorava di una donna più grande di lui, vedova di un eroe di guerra, madre di una bambina, in quel 1943 così drammatico, e anche qui c'era la passione febbrile di uno che con la realtà non avrebbe mai voluto fare i conti, ma che proprio la realtà metteva di fronte alle sue debolezze e alle sue responsabilità

È questo aspetto di eterno, spaesato sognatore, a disagio e un po' ai ferri corti con la vita, che lo rendeva unico. Nel Sorpasso, uscito nel 1962, teneva magistralmente testa a un Vittorio Gassman al meglio della sua esuberanza menefreghista e un po' da canaglia, e lo faceva con quei sorrisi accennati, l'ombrosità di chi si sente insicuro e che quando per la prima volta si decide finalmente ad affrontare la vita, vede il destino presentargli subito e atrocemente il conto.

Chi non ha conosciuto quella cinematografia europea che almeno sino agli anni Settanta fu uno dei veri motivi del perché si amasse il cinema non sa che cosa ha perduto. Trintignant era in grado di passare da un mélo toccato dalla grazia, qual è Un uomo, una donna, di Claude Lelouch, un pilota di rally con il mal d'amore, a Z L'orgia del potere, dove era il giudice che non si rassegna alla violenza omicida delle ideologie, a La mia notte con Maud, di Eric Rohmer, uno di quei contes philosophiques in cui la morale, meglio il moralismo, e insieme il cinismo andavano a braccetto. E, naturalmente, da Il conformista a Flic Story, c'era anche spazio per un altro tipo di fascino, che sapeva essere sfuggente e gelido, assetato di falsa normalità come di lucida determinazione.

Dotato di una voce calda, che ne faceva l'interprete ideale di ogni recita poetica, Trintignant ha avuto una vita lunga, felice e insieme tragica, con una figlia morta che era ancor neonata, un'altra massacrata di botte e uccisa dal suo compagno, Bertrand Cantat, cantante del gruppo Noir desir, in un litigio scatenato dalla gelosia.

Una delle sue ultima apparizioni - prima del ritiro dalle scene nel 2018, annunciando di avere un tumore - era stata in Happy End di Michael Haneke, presentato a Cannes, nel 2017, un film dove interpretava un vecchio patriarca pieno di sussulti e di rimorsi, di improvvisi vuoti di memoria e di repentini salti di umore. La voce, lo sguardo, le rughe, l'incertezza fisica e psicologica, l'apparente smarrirsi e il cupo quanto improvviso ritrovarsi, disegnavano un formidabile ritratto di senilità quale fino ad allora non si era mai visto.

Era, se si vuole, un modo di dire addio al giovane incantato che mezzo secolo prima ci aveva guardato dallo schermo con l'impacciato sorriso di chi non sa che cosa gli riserverà la vita e si illude che sarà soltanto una festa.

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