Cultura e Spettacoli

Quell'eterno dibattito alimentato di ipocrisia che la sinistra (vuota) non riesce ad archiviare neanche dopo cent'anni

Già negli anni Settanta, Sciascia e Pasolini avevano chiarito i limiti del tema (o, peggio, la sua malafede). Eppure la campagna elettorale si gioca ancora su categorie ormai consunte

Quell'eterno dibattito alimentato di ipocrisia che la sinistra (vuota) non riesce ad archiviare neanche dopo cent'anni

«I fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti». Questa geniale battuta di Mino Maccari, resa però famosa da Ennio Flaiano, era da intendersi alla lettera. Sia Maccari sia Flaiano avevano visto i propri amici intellettuali transitare senza alcuna contrizione dalla camicia nera a quella rossa. Un processo descritto magnificamente dal liberale Antonio Delfini nei suoi Diari appena ristampati da Einaudi e nella Introduzione ai Racconti appena ristampati da Garzanti. Sono pagine impietose sul mondo dei letterati e degli imboscati, degli ex amici Mario Pannunzio ed Eugenio Scalfari, ma anche dei mitici intellettuali delle Giubbe Rosse, tutta gente che aspettava la caduta del regime, rigorosamente in silenzio, per impadronirsi poi del potere culturale. Nei Diari, troviamo appunti come quello del 15 marzo 1937: «C'è troppa affinità letteraria tra intellettuali fascisti e intellettuali avversari, perché si possa credere nella nascita di qualcosa di grande da quelli».

Gli scrittori di regime sono cortigiani ma non sono molto differenti da «quelli che sono, o stanno, fuori del fascismo, indifferenti ma... illuminatissimi; oscuri ermetici, ma chiari probanti coscienziosi nel loro... mestiere di letterato». Ecco poche righe in cui c'è la storia d'Italia: «Dopo il 25 luglio venni a sapere, con mia meraviglia, che tutti quegli Antifascisti (ma fascisti o fascistizzati) avevano lavorato loro, soltanto loro, per far cadere il fascismo. Io temo di intuire che essi si erano organizzati per l'eventuale caduta del fascismo; e non per far cadere il fascismo. Siamo giusti. Il fascismo l'hanno fatto cadere gli Inglesi (filo-fascisti fino al 1935), gli Americani, i Russi e i Fascisti meno stupidi e meno delinquenti». Conclusione sarcastica: «Quanto alla massa degli Antifascisti - via, siamo franchi: apriamo il nostro cuore! - la loro innocenza per la caduta del fascismo è quasi completa».

Sono considerazioni da tenere a mente in questa campagna elettorale nella quale non si dibatte di nulla che non sia un ricordo del XX secolo. Dunque, il centrosinistra ha impostato tutta la propaganda sull'allarme fascismo, ponendo l'accento sulla continuità (tutta da dimostrare) tra M e M, Meloni e Mussolini. C'è chi lo fa rozzamente e chi lo fa con maggiore intelligenza, archiviando il fascismo storico ma tirando fuori un «nuovo autoritarismo» che si intuisce essere parente stretto, forse il gemello, del fascismo. Ci sono poi gli «impressionisti» del fascismo, quelli che il fascismo è uno stato d'animo, un'emozione, un accento nero tra le parole «t'odio».

Intorno alla metà degli anni Settanta, alcuni intellettuali rigorosamente di sinistra, avevano già archiviato la questione. Erano spiriti liberi, stupefatti davanti all'ondata di conformismo e alla trasformazione dell'autore impegnato in autore impiegato, burocrate del Partito comunista che a tutto e tutti provvede. Nella sua evoluzione, Pier Paolo Pasolini incominciò a interrogarsi su quali fossero i frutti dell'ortodossia di sinistra. In una intervista del 1974, rilasciata a Massimo Fini, il poeta non usava mezzi termini: «Esiste oggi una forma di antifascismo archeologico che è poi un buon pretesto per prendersi una patente di antifascismo reale. Si tratta di un antifascismo facile facile che ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà mai più». Pasolini affondava il coltello nella ferita: «Ecco perché buona parte dell'antifascismo di oggi, o almeno di quello che viene chiamato antifascismo, o è ingenuo e stupido o è pretestuoso e in malafede: perché dà battaglia o finge di dar battaglia ad un fenomeno morto e sepolto, archeologico appunto, che non può più far paura a nessuno. È insomma un antifascismo di tutto comodo e di tutto riposo... Io credo profondamente che il vero fascismo sia quello che i sociologi hanno troppo bonariamente chiamato la società dei consumi».

Il totalitarismo della società dei consumi è peggio del fascismo storico. Il fascismo poteva chiedere e imporre obbedienza ma non poteva impadronirsi delle coscienze. Il consumismo, al contrario, colonizza i nostri desideri e le nostre fantasie. Ci rende tutti uguali attraverso una finta tolleranza. Vuole abbattere ogni confine e travolgere ogni tradizione perché ha come unico scopo l'efficienza del mercato globale, che richiede consumatori uno identico all'altro. La sinistra progressista, incluso il movimento sessantottino, ha assecondato in pieno la nascita del nuovo totalitarismo, contestando e scardinando le «vecchie» istituzioni e le tradizioni millenarie.

Pasolini ci sta parlando di globalizzazione, mercato falsamente libero, pensiero unico, pigrizia culturale, difesa della differenze. Tutti temi interessanti, senz'altro più complessi da elaborare rispetto a usurati paragoni tra la destra di oggi e quella di un tempo ormai superato (da qualcosa di peggio, nella visione di Pasolini).

Anche Leonardo Sciascia, altro uomo di sinistra, e come Pasolini vicino al Partito radicale, aveva le idee chiare. Nel suo diario, Nero su nero, edito da Einaudi nel 1979, scrive pensieri come questo: «Il più bello esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere (e ne raccomandiamo agli esperti la più accurata descrizione e catalogazione) è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dar del fascista a chi fascista non è». Il più bello esemplare di fascista era un caso particolare di una legge storica, l'ascesa del cretino di sinistra: «Intorno al 1963 si è verificato in Italia un evento insospettabile e forse ancora, se non da pochi, sospettato. Nasceva e cominciava ad ascendere il cretino di sinistra: ma mimetizzato nel discorso intelligente, nel discorso problematico e capillare. Si credeva che i cretini nascessero soltanto a destra, e perciò l'evento non ha trovato registrazione». In quanto al «movimento» studentesco, ecco un micro-racconto che si direbbe una pietra tombale: «Era un fascista dice di Dubcek una ragazza molto rivoluzionaria che ha sposato un uomo molto ricco ed è entrata ora a far parte da assistente a un professore molto fascista». Sciascia aveva visto anche il sorgere della doppia morale: «A me, uomo di sinistra, è permesso, è lecito, è da approvare quel che non è permesso, è illecito, è riprovevole a un uomo di destra. Pericolosissimo principio, se si considera la facilità, e a volte la comodità, con cui si può essere uomo di sinistra, oggi».

Sciascia credeva che il fascismo, in una forma o nell'altra, fosse sempre possibile in Italia. Ma non era all'ordine del giorno. Lo scrittore siciliano insisteva su altri temi: la separazione dei poteri, l'eguaglianza davanti alla legge, il corretto funzionamento della giustizia. E proprio la giustizia, con i suoi tempi e la sua a volte dubbia indipendenza, è uno degli eterni problemi italiani. Nonostante ciò, non è fino a qui entrata nella campagna elettorale di alcun partito, se non in modo marginale.

Il dibattito sul fascismo ha fatto, negli ultimi decenni, marcia indietro. Era più interessante in passato, quando uscivano libri fondamentali sulla questione, a sinistra e anche a destra. Il dibattito che invece non è mai cominciato è quello su antifascismo e anticomunismo. Per appartenere alla famiglia democratico-liberale non è sufficiente l'antifascismo. È necessario anche l'anticomunismo. Si finge di non saperlo, ci si nasconde dietro all'illusione che il Partito comunista italiano fosse diverso. È ipocrita vedere sempre il fascio littorio nell'occhio altrui e non vedere la falce e martello nel proprio.

Non basta gridare: «Allarme fascismo». Bisognerebbe anche provare che la democrazia è in pericolo ma in questa disamina nessuno si avventura perché il risultato potrebbe rivelarsi un clamoroso buco nell'acqua. Delegittimare l'avversario, soprattutto quando si parte condannati alla sconfitta, è una tentazione alla quale la sinistra non è capace di rinunciare. Così parte la manganellata progressista, verbale ma non innocua: la destra e i suoi elettori sono fascisti e dunque indegni di prendere parte alla vita pubblica.

Nessuno, a sinistra, capisce la mediocrità (e il fascio-comunismo) di questo atteggiamento?

Commenti