Ridley Scott torna nelle sale con "Exodus: Dei e Re"

Il colossal biblico di Ridley Scott intrattiene in quanto spettacolare esperienza visiva, ma l'eccessivo realismo smorza il fascino mistico del racconto

Ridley Scott torna nelle sale con "Exodus: Dei e Re"

Cimentarsi nell'adattamento cinematografico di un testo biblico è una sfida rischiosa e stavolta ad averla accettata è Ridley Scott, che sbarca nei cinema con la sua ultima fatica, "Exodus: Dei e Re", un colossal costato circa 150 milioni di dollari, incentrato sul Libro dell'Esodo dell'Antico Testamento. Siamo nel Regno d'Egitto, all'incirca nel 1300 a.C. Il popolo ebreo è schiavo da quattrocento anni quando il generale Mosè (Christian Bale), membro della famiglia reale, scopre di essere stato adottato e di appartenere proprio all'etnia degli oppressi. Il Faraone Ramses (Joel Edgerton), assieme al quale è cresciuto come fossero fratelli, decide di esiliarlo nel deserto, convinto in questo modo di condannarlo a morte certa. Mosè, invece, non solo sopravvive ma, una volta giunto a Madian, si costruisce una nuova vita, diventando pastore e mettendo su famiglia. Nove anni più tardi, mosso da una visione divina, prende la decisione di tornare in Egitto per liberare il suo popolo dalla tirannia di Ramses. Che dipenda dalla caratterizzazione un po' abbozzata dei protagonisti o dal fatto che si venga distratti dall'imponenza dello spettacolo visivo, "Exodus", per tutta la sua impegnativa durata di 150 minuti, non coinvolge mai profondamente dal punto di vista emotivo. A giocare a sfavore dell'epicità è il tentativo di spiegare i miracoli delle Scritture in termini credibili; cercare, infatti, la verità storica dietro al mito, finisce con l'impoverirne il fascino.

Piaghe d'Egitto e apertura del Mar Rosso ricondotti a fenomeni naturali, la fuga del popolo ebreo compiuta grazie ad una serie di fortunate quanto assurde coincidenze, il principio divino raffigurato nelle sembianze di un bambino vendicativo, rancoroso e quasi demoniaco, sono solo alcune delle scelte azzardate effettuate da Scott nella sua rielaborazione del materiale originale che, tra l'altro, appare in più punti storicamente inaccurata. Anziché dare forma all'epopea di un popolo, la trama si concentra sulla storia di due fratelli amati in maniera differente dal padre e che per volere di Dio si trovano a combattere su fronti opposti. Anche se il regista ha evitato di creare un pasticcio indecoroso come il "Noha" di Darren Aronofsky, al suo "Exodus: Dei e Re" manca completamente il carisma che rese iconico "I dieci comandamenti" di Cecil B. DeMille nel 1956.

Più che per la lettura singolare e personale del testo biblico, la pellicola merita di essere scelta per l'esperienza visiva di prim'ordine che regala grazie alle scenografie sontuose e ai paesaggi digitali mozzafiato nei quali sono confluiti quasi tutti gli sforzi produttivi e registici. Quanto all'appeal necessario a resistere nel ricordo dello spettatore, per procurarselo non basta far comparire qua e là divi (Ben Kingsley, John Turturro, Sigourney Weaver ecc.) in costume d'epoca.

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