Zucchero: "Rimango un tipo Doc in un mondo pieno di gente finta"

Al nuovo album collaborano anche De Gregori e Van De Sfroos. «I giovani? Mi fanno tenerezza»

Zucchero: "Rimango un tipo Doc in un mondo pieno di gente finta"

Zucchero lo riconosci subito, dalle parole, dalle battute, dagli stivaloni western con la punta all'insù. E dal disco. È l'ultimo dei mohicani, uno dei pochi che ancora trascorra mesi a cercare musicisti e produttori e ispirazione: «Per me lo studio di registrazione è sacro», spiega mentre presenta il nuovo D.o.c. che è la nuova declinazione del suo blues che si allunga fino al pop, al folk e persino al gospel. Disco vero nell'epoca dei dischi finti, suonati da software e non da strumenti. «Ho provato a rinnovarmi rimanendo me stesso, non è facile dopo quattro decenni» dice sotto un cappello dalle tese larghissime. «Però attenzione - scherza - Doc vuol dire denominazione di origine controllata ma anche disturbo ossessivo compulsivo, ma per me vanno bene entrambi». E il sorriso diventa più largo del cappello.

Zucchero, si è presentato con il singolo Freedom che parla di libertà.

«Che cos'è la libertà? L'ho dimenticato. Siamo controllati sempre».

È un mondo ansiogeno.

«È un mondo che sembra una pentola che ribolle. Speriamo non scoppi».

Più che altro è un mondo con gli occhi bassi sullo smartphone.

«Li vedo poco contenti, sono fragili e mi fanno tenerezza perché non hanno ideali da seguire».

Ma si è sempre detto la stessa cosa per ogni generazione.

«No, e stavolta parlo di me. Vengo da una famiglia povera e disagiata, ma avevo un sogno, un ideale: la musica. Spesso oggi i ragazzi dimostrano che, se anche avessero obiettivi, non avrebbero voglia di perseguirli. Per fortuna ci sono figure come Greta che li riportano in piazza».

Non è un bel quadro.

«E difatti c'è un filo conduttore di tutto il disco, che è l'atmosfera di redenzione. Tutti sanno che sono ateo ma, se pensi a quello che c'è, senti il bisogno di vedere una luce là in fondo».

Zucchero si è convertito a Dio?

«Ma non ho detto quale». (ride - ndr).

È ancora un musicista «impegnato» in grandi battaglie?

«Quante cose abbiamo fatto in passato. Il Live 8, il concerto per Mandela e poi tutto l'impegno di Bono o Bob Geldof... È cambiato qualcosa? No. Hanno cancellato il debito? No».

Il disco è prodotto anche da un signor produttore, Don Was.

«Ed è bravissimo a sopportarmi. Una volta, in auto a Los Angeles, gli ho chiesto: Don, ma io sono un rompico...?. E lui: Ma va, i grandi sono tutti meticolosi. Quando produco i Rolling Stones, un giorno entra Mick Jagger in studio e dice di alzare la sua voce perché è troppo bassa. Il giorno dopo arriva Keith Richards e dice che la voce è troppo alta.... Il produttore è quello che media».

Nel disco ci sono versi di Francesco De Gregori.

«Abbiamo già collaborato tante volte. Stavolta è venuto a casa mia, abbiamo scritto il testo, ci mancava la chiusa che poi è venuta a me ed ecco Tempo al tempo».

E Davide Van De Sfroos?

«Uno che sa scrivere bene e ha intuizioni poetiche. Mi ha mandato un testo dicendomi fanne quello che vuoi. Anche Pasquale Panella fa così. Ho utilizzato parte del suo testo in Testa o croce».

In Cose che già sai canta con Frida Sundemo.

«Bravissima, svedese, poco più che ventenne, ha collaborato anche con Avicii. Le nostre voci si sovrappongono in Don't let it be gone. È autentica».

Il premio al miglior titolo è Vittime del cool.

«È difficile essere Doc al cento per cento. Ma in giro quasi tutti si atteggiano come non sono. Sono vittime del cool, delle mode, del dover apparire. Io non riesco».

In Badaboom accenna al Bel Paese.

«C'è troppa confusione, non c'è un politico davvero incisivo e non c'entra questo governo o l'altro o l'altro ancora. È il Bel Paese grazie a ciò che è stato fatto secoli fa, non oggi. Ma non potrei vivere da nessun altra parte».

Zucchero, la sente quanta trap c'è in giro?

«I trapper sono come i funghi di Pontremoli, ogni giorno ne viene fuori un crocco... Alcuni mi piacciono, sono forti, incisivi, hanno doppi sensi interessanti. Ma, alla fine quasi sempre rimane poco».

Fatto il disco, si parte

in tour.

«Faccio tour mondiali dal 1989... Stavolta inizio in un Festival blues in Australia e poi a settembre farò 12 concerti all'Arena di Verona. Un record? Non lo so, l'importante sarà soprattutto farli bene».

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