L'urlo primordiale che liberò John dalla paura di vivere

L'ex Beatle era in preda all'angoscia. Si curò con un metodo originale. E fece il suo disco migliore...

L'urlo primordiale che liberò John dalla paura di vivere

All'inizio del 1970, John Lennon è alle prese con i suoi fantasmi. I Beatles sono avviati verso il peggiore dei finali, il disprezzo al posto dell'amicizia, il rancore al posto dell'affetto. John ha un grave problema di droga, l'eroina. La stagione dei bed-in pacifisti con Yoko Ono non ha lasciato un segno profondo. L'impegno politico è stato una gradevole distrazione ma Lennon sa di essere in fuga da qualcosa che dovrà affrontare, prima o poi. John, il mitico fondatore dei Beatles, l'autore di brani già nella storia del pop, il ragazzino della piccolissima borghesia che si è fatto strada nel mondo degli adulti, ribaltandolo... Ecco, questo John si chiude in casa. Non vuole uscire. Si è convinto di non valere nulla. Odia la sua stessa voce. Gli altri Beatles si danno da fare. Paul e George lavorano all'esordio da solisti. John ha «risposto» con alcuni trascurabili dischi sperimentali e un paio di singoli di discreto successo ma di qualità mediocre, intendiamoci: mediocre per uno che ha scritto Strawberry Fields, A Day in the Life e I Am the Walrus.

Lennon ha trovato una compagna, Yoko Ono, ma forse sente di aver perduto una famiglia, i Beatles. Comunque sia, il suo problema è proprio questo: la famiglia. Per certi versi, John è un uomo esperto fino al cinismo, che emerge dalle sue battute spietate. Per altri, è ancora il figlio di genitori che lo hanno abbandonato alle cure di una zia generosa ma poco espansiva. Il padre, come vuole il peggior cliché, ha abbandonato John salvo farsi vivo per battere cassa presso il figlio famoso. Lennon lo foraggia e lo compatisce. Gli mette i soldi in mano e se lo toglie dai piedi senza quasi guardarlo in faccia. La madre invece aveva cercato di recuperare il rapporto con l'ancora giovane John. Ma proprio in quel momento era stata travolta per strada, uscendo da casa della sorella. Emotivamente, John è ancora davanti alla bara della madre. E dire che ha già avuto un figlio, Julian, al quale ha inflitto la sua stessa sorte di ragazzino abbandonato (non dalla madre, però).

Nel febbraio 1970, John Lennon si trova un libro nella cassetta della posta, inviatogli per iniziativa autonoma dell'editore. Si intitola The Primal Scream, l'urlo primordiale. L'autore, lo psichiatra Arthur Janov, propone una nuova terapia per liberarsi dall'infelicità, dall'ansia e dalla paura. Il paziente è accompagnato dal terapista in una immersione totale nei propri traumi, indietro fino al primo e peggiore, il trauma della nascita, del distacco dalla madre. Mentre altri metodi provano a rafforzare le difese dal dolore, Janov vuole abbatterle e arrivare alla catarsi. I pazienti, immersi nella giusta atmosfera, ridiventano bambini e addirittura neonati, che sfogano il terrore con l'urlo primordiale, il primo pianto.

Lennon è entusiasta. Janov si trasferisce a casa dell'ormai ex Beatle. Poi è John a seguirlo in clinica a Los Angeles. Durante le sedute, John progressivamente si lascia andare, fino a gettarsi in terra gridando: «Mamma non andare via. Amami, mamma. Dove sei. Torna da me». Prende in considerazione il misticismo ma lo valuta un modo di compensare un dolore intollerabile. Quando si sente meglio, più leggero, John torna a casa e incide un disco monumentale, lo straziante Plastic Ono Band. Oggi uno splendido cofanetto ci permette non solo di ascoltare ore di incisioni con versioni molto differenti da quelle definitive, ma anche di ricostruire passo dopo passo quel periodo così particolare con le testimonianze inedite di musicisti, amici, Yoko e soprattutto dello psichiatra Janov, un tipo tostissimo, che perdona tutto ma non chi conferisce un'aura romantica alle droghe, la rovina di un paio di generazioni.

Il disco si apre con una sconvolgente ballata funebre per la madre. Pochi tocchi di pianoforte e Lennon sprofonda dentro se stesso e chiude il brano con l'Urlo primordiale. Roba che è impossibile da dimenticare, anche dopo un singolo ascolto. Nelle versioni alternative, se ne scova una interpretazione quasi alla Dylan, con la chitarra al posto del pianoforte. Bella ma per fortuna è l'altra a essere finita sull'album.

Il suono scarno ed essenziale occupa tutto il disco, che si tratti di delicate riflessioni sull'amore (Love), sulla solitudine (Isolation) o stoccate sull'ipocrisia e mediocrità del mondo (I Found Out, Well Well Well). C'è anche la classica God, scambiata per un inno nichilista con qualche ragione ma da reinterpretare alla luce di quanto racconta Janov. Non a caso i primi versi sono parole proprio pronunciate durante una seduta: «God is a concept by which we measure our pain» (Dio è un concetto col quale misuriamo il nostro dolore). Segue lista di cose alle quali John non crede più: Gesù, la cultura pop, se stesso come mitico componente dei Beatles. Si inquadra meglio anche Imagine, che sarà pubblicata nell'omonimo e seguente album. Imagine è la logica conclusione-risposta a God.

I guai personali di John non sono ancora finiti ma raccontarli sarebbe un altro pezzo. Alla fine della terapia, John capisce l'importanza di essere un buon padre. Al suo figlio più sfortunato, Julian, il destino riserva un colpo crudele.

Dopo anni di alti e bassi, incomprensioni e discussioni, quando le cose stanno per mettersi a posto, un pazzo spara a John Lennon e lo uccide. E così Julian, incredibile a dirsi, deve ripercorrere un tragitto simile a quello di suo padre...

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