Quando all'inizio degli anni '60 apparve la traduzione del suo Romanticismo fascista, Paul Sérant divenne popolare negli ambienti della destra italiana, in particolare del neofascismo: il libro era un affresco di quella che, in prima approssimazione, poteva essere chiamata la «cultura fascista francese» attraverso i ritratti letterari di sei scrittori «maledetti» o comunque scomodi: Drieu La Rochelle, Brasillach, Rebatet, Alphonse de Chateaubriant, Abel Bonnard e Céline. I loro nomi evocavano una cultura «catacombale». Tuttavia, per quanto il «fascismo» francese così fatalista, crepuscolare e intriso di pessimismo apparisse ben diverso da quello italiano, quelle figure tragiche emanavano un fascino indiscutibile sui giovani del neofascismo e alcune loro opere erano divenute oggetto di culto.
Altri libri di Sérant furono tradotti in seguito come il saggio su Salazar e il suo tempo o l'inchiesta su I vinti della Liberazione dedicato all'epurazione postbellica nei vari Paesi europei. Quello che, invece, non è mai apparso in italiano è un bellissimo lavoro del 1978 dal titolo Les dissidents de l'Action Française ripubblicato ora in una nuova edizione (Pierre-Guillaume de Roux, pagg. 420, euro 29) accresciuta e arricchita da una puntuale prefazione di Olivier Dard, autorevole studioso della Sorbona e profondo conoscitore della storia della destra intellettuale francese. È un'opera che sotto certi profili e, in particolare, da un punto di vista strutturale si riallaccia a Romanticismo fascista, ma è, a mio parere, ben più importante perché chiarisce bene sia il peso che il pensiero di Charles Maurras ebbe nella cultura e nella vita politica francese del '900 sia i motivi dell'allontanamento di alcune personalità di rilevo dall'Action Française e dal suo fondatore sia ancora le differenze, piuttosto che le affinità, tra il nazionalismo e il fascismo.
Paul Sérant era un giornalista molto noto, che aveva preso parte alla Resistenza durante il periodo dell'occupazione tedesca, aveva lavorato in testate importanti come Combat ed era stato, fra l'altro, redattore della BBC per i servizi dalla Francia. Aveva frequentato giovanissimo gli ambienti dell'Action Française, prima, e, poi, quelli della galassia di movimenti dei cosiddetti «non conformisti degli anni trenta» che comprendevano riviste eterogenee come, per esempio, La Jeune Droite o L'Ordre Nouveau o Esprit accomunate da un desiderio generazione di rinnovamento del pensiero politico francese. Era, quindi, in grado di comprendere, meglio di altri, le caratteristiche di un fenomeno che avrebbe portato al distacco dal tronco originario del pensiero maurrassiano di rami destinati a fruttificare autonomamente. Non a caso Dard fa notare che, sotto un certo profilo, Les dissidents de l'Action Française è da considerarsi «le livre d'une vie».
Nell'immaginario comune quando si parla dell'Action Française o, più, in generale, del nazionalismo francese, il pensiero corre a pochi nomi: Charles Maurras, prima di tutti, e poi il grande storico Jacques Bainville, il polemista Léon Daudet e qualche altro. Assai più popolari sono invece, tuttora, alcuni «dissidenti» del movimento maurrassiano, anche se le cause profonde della loro dissidenza sono eterogenee. Sèrant prende in esame sette di questi intellettuali Georges Valois, Louis Dimier, Jacques Maritain, Georges Bernanos, Robert Brasillach, Thierry Maulnier, Claude Roy e ne ricostruisce il rapporto con Maurras facendo vedere come, in fondo, i motivi della «rottura» o dell'allontanamento fossero diversi da caso a caso. Per qualcuno si trattò di una reazione contro il «pragmatismo» di Maurras che sembrava contraddirne la posizione teorica sul «coup de force». Per qualche altro, invece, fu determinante la condanna da parte della gerarchia cattolica dell'Action Française. Per altri, infine, fu traumatico quello che accadde a Vichy dove l'antigermanesimo di Maurras apparve indigeribile ad alcuni sedotti dalla politica di collaborazione con i tedeschi e, talora, dal nazionalsocialismo. Così avvenne per esempio nel caso, probabilmente il più noto, di Robert Brasillach.
Con il motto «La France, la France seule» nell'estate del 1940 Maurras, malgrado il parere contrario di suoi collaboratori fra i quali Pierre Gaxotte, volle riprendere a Lione le pubblicazioni de L'Action Française. In Pétain aveva visto una «divina sorpresa» illudendosi che la «rivoluzione nazionale» potesse trasformare la disfatta in una occasione per recuperare l'eredità della tradizione francese. Pur sostenendo tale tesi, Maurras non fece concessioni al collaborazionismo, perché il suo nazionalismo era germanofobo: non a caso si irritò quando Brasillach riprese a occuparsi del periodico Je suis partout rinato sotto l'occupazione nazista e divenuto presto l'organo più significativo dei collaborazionisti. E Brasillach rimase sentimentalmente fedele a Maurras tanto da rivendicare, anche in punto di morte, il fatto di esserne un discepolo. Del resto la vicenda di Vichy e il problema dei rapporti con la Germania, prima ancora che con il nazionalsocialismo, fu una delle questioni che lacerarono profondamente gli ambienti monarchici dell'Action Française come è ben illustrato in un volume di François-Marin Fleutot dal titolo Des Royalistes dans la Résistance (Flammarion) pubblicato alcuni anni or sono.
Il momento più importante per una storia dei «dissidenti» dell'Action Française non è, però, al contrario di quanto si sarebbe portati a credere, quello tragico di Vichy quanto piuttosto quello della condanna del movimento e del pensiero di Maurras da parte della Santa Sede sul finire del 1926. Il provvedimento ebbe effetti dirompenti sugli intellettuali cattolici, in gran parte giovani, che avevano subito il fascino delle tesi maurrassiane. Se ne allontanò, per esempio, Jacques Maritain, considerato un po' l'«anima filosofica» dell'Action Française anche perché autore di opere come Trois Réformateurs (1925) che, individuando una linea di continuità Lutero-Cartesio-Rousseau, aveva sviluppato una filosofia «antimoderna» certamente funzionale al movimento. In un primo momento Maritain cercò di difendere la teoria politica dell'Action Française sostenendo che essa era cosa diversa dalle posizioni miscredenti o agnostiche di Maurras. E, ancora per qualche tempo, ribadì la tesi che la condanna dell'Action Française fosse di natura politica, ma poi, dopo un viaggio a Roma e alcuni incontri con Pio XI, si convinse che dietro la decisione presa dalle gerarchie cattoliche c'erano effettivamente motivazioni più profonde. Un grande scrittore cattolico come Georges Bernanos, anch'egli uno dei dissidenti studiati da Paul Sérant che però si allontanerà dal maurrassismo più avanti negli anni, difese a spada tratta, in quel momento, sia Maurras sia l'Action Française e ruppe con Maritain scrivendogli con parole durissime: «La compiango perché lei non ama gli uomini».
Lo studio dei dissidenti dell'Action Française non è soltanto lo studio di alcuni casi personali, più o meno conosciuti.
È anche un modo per comprendere il peso che un pensatore politico come Maurras ha avuto nella cultura e nella vita politica francese lasciando un retaggio che giunge, in qualche misura, fino ai nostri giorni. E che, paradossalmente, va oltre la tradizionale ripartizione fra destra e sinistra.
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