Riscoprire la cultura della libertà

Un festival per riascoltare l'insegnamento di Einaudi (e non solo)

Riscoprire la cultura della libertà

Il Festival della cultura della libertà (che si apre questo fine settimana a Piacenza, in quarta edizione) reca nella sua intestazione la precisazione che «L'evento non beneficia di contributi pubblici né della comunità». E al di là del fatto che esso di questi in effetti non abbia bisogno, per gli intenti e gli ideali che animano i suoi promotori e materiali organizzatori, la scritta ha un significato ben più ampio. Significa che l'evento vive di mezzi propri perché deve vivere di mezzi propri: sia perché il pubblico danaro è frutto di prestazioni imposte, sia perché esso non può comunque avere una destinazione piuttosto che un'altra, che discrimini fra un tipo di cultura e un'altra.

Ed è ben vero che la prassi è esattamente all'opposto, ma questa azione pratica che ha come obiettivo lo sfruttamento delle pubbliche risorse al fine di attrarre clientele, ripugna all'animo liberale, in qualunque modo esse siano utilizzate o sprecate, come quando i Comuni (ed altri enti locali) concedono immorali agevolazioni ed esoneri da imposte nel diffuso concambio della pubblicizzazione del loro logo e della loro immagine, a simulare una collaborazione organizzativa che difatti non c'è. Se il pubblico denaro è denaro pubblico, appunto, esso ci insegna Einaudi non può andare alla corrente di pensiero in un certo momento storico prevalente: se va a qualcuno, deve andare a tutti. Già nel gennaio '45 (su Idea) il futuro Capo dello Stato scriveva nel suo articolo Major et sanior pars che, nella visione liberale, perfino un partito dichiaratamente liberticida ha diritto di partecipare alla vita politica e, quindi, di non essere discriminato neppure nei finanziamenti pubblici, lo stato democratico non potendo far nulla che violi la libertà degli uomini di darsi, se credono, un governo tirannico, pur dovendo fare tutto ciò che valga ad impedire che alla mutazione si giunga colla violenza o colla frode.

Il Festival, così, non gode né di finanziamenti né di agevolazioni, i primi quantomeno chiari, quindi onesti; i secondi anche falsi, truffaldini anzi. Ma in un momento come l'attuale (nel quale il debito continua a crescere, sottraendo vieppiù risorse e credito alla privata iniziativa), in un momento come l'attuale si diceva non si possono impegnare pubbliche risorse se non in modo esemplare. Ci fosse ancora Einaudi, egli ripeterebbe (salvò la lira in questo modo) che «a salvarci basta un atto di volontà: la volontà di rinunciare alle spese superflue», alle spese simulate così come alle tasse silenti, a cominciare da quelle immobiliari, che (giusta il tema del Convegno di Piacenza, dettato dal direttore scientifico del Festival Carlo Lottieri: «Tassare, regolamentare, espropriare. Cosa resta del diritto di proprietà?») costituiscono di per sé basate come sono sul patrimonio anziché sulla redditualità un'espropriazione surrettizia.

Il Festival di Piacenza, dunque, sarà indipendente della più pura e incontaminata indipendenza, né liberale né libertario, nel senso che

svolgeranno relazioni e interverranno esponenti oltre che, anche, di altre correnti di pensiero sia del liberalismo lockiano , sia del libertarismo. Tutto, nella logica immanentistica crociana della varietà delle tendenze.

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