Giovanni Battista Piranesi e Gabriele Basilico. Tante differenze e un'unica passione: il grande enigma della Città, che è la più straordinaria tra tutte le creazioni umane.
Ce lo racconta lo splendido volume fotografico, edito da Contrasto e dalla Fondazione Giorgio Cini, dal titolo Piranesi Roma Basilico (pagg. 170, euro 55).
Poco frequentata nelle scuole a causa di quanto altre latitudini offrivano (era il tempo di Voltaire, di Kant, di Hume), l'Italia di Piranesi fu anche quella di Tiepolo, di Canaletto e del trapiantato Vanvitelli: epoca in realtà fervida di novità tecniche, cresciute di pari passo con i nuovi spunti offerti dal pensiero speculativo.
Il rapporto tra ciò che mi sta davanti (il mondo) e ciò che la mia visione racchiude (il phainomenon) divenne centrale non solo per i filosofi e gli scienziati, ma anche per chi della rappresentazione del paesaggio aveva fatto il proprio lavoro.
Migrato a Roma da Venezia, Piranesi scoprì nelle grandiose rovine romane la forza di un elemento che la riflessione sulla città - centro di tutte le energie umane - aveva tenuto ai margini: la Dimenticanza.
Il peso della realtà ci obbliga a ridurre una parte di essa ai lati del nostro occhio e della nostra memoria. Su quei margini dimenticati crescono il muschio, l'ortica, fanno il nido i ratti: dove un tempo passarono le bighe degli imperatori e degli eroi. Le opere che destarono il terrore dei primi invasori barbari si sono sgretolate, e una vita misera, selvatica se ne appropria.
Piranesi eresse alla Dimenticanza il suo monumento, come Canaletto, come (pochi) altri. Noi li chiamiamo «vedutisti», uomini capaci di cogliere, a diverso titolo, nel paesaggio urbano gli strati della sua storia, di ciò che l'occhio ha pre-visto e poi realizzato e di ciò che è stato sopraffatto dal tempo, di eventi celebri e di altri che non lo furono di meno ma che poi finirono nell'oblio. La veduta ci chiede di guardare ciò che non vediamo, e di ricordare.
Piranesi fece di questo principio una poetica quasi esclusiva, nella quale trasferì i suoi sogni di architetto e di pittore. L'incisione divenne la sua arma, forse il suo strumento di vendetta. Fu urbanista, se con questa parola s'intende la sintesi tra i sogni luminosi dell'architetto e i grovigli che il tempo depone sul tavolo dello storico.
Anche lui architetto per formazione, anche lui studioso, storico e cronista eccezionale delle trasformazioni e delle stratificazioni urbane, Gabriele Basilico approda a Roma, come Piranesi, da un altro contesto antropico e urbanistico: Milano per lui, Venezia per il suo predecessore. Va sulle orme del grande vedutista e misura il proprio sguardo con il suo. Piranesi Roma Basilico è il risultato, splendido, di questo incontro e di due modi di guardare la città da un lato opposti, dall'altro accomunati da un'analoga riflessione.
Le rovine e, in generale, le tracce del passato, sono uno dei temi caldi sui quali Basilico misura la forza di una città, la sua capacità - cosa tra le più complesse che esistano - di progettar-si e rigenerarsi. Ricordo le sue ricerche documentate in Ritratti di fabbriche, dedicato alla sua Milano, e in Beirut 1993.
Il libro procede con andamento parallelo, affiancando alle immagini di Piranesi le corrispondenti di Basilico. Il quale non intrattiene con le rovine il rapporto che, viceversa, avvince Piranesi, che crea tra immagine e occhio un legame quasi ipnotico, fino a farci percepire, per così dire, l'odore dei luoghi raffigurati.
Gabriele è il suo opposto. La sua ossessione è tutta fotografica, tutta interna allo strumento adottato, un'ossessione che possiamo chiamare del punto medio, ossia del punto in cui le tensioni sottese alla visione trovano un punto d'equilibrio, entrano in dialogo tra loro. La fotografia non è pittura, non riproduce, non rappresenta: la fotografia documenta, ossia rende «leggibile», materia di conoscenza ciò che l'occhio scorre. L'attitudine di questo grande fotografo mi rammenta il Peter Handke di Die Lehre der Sainte-Victoire (tradotto sciaguratamente da noi con il titolo Nei colori del giorno), che sulle orme di Cézanne cerca di ricostruire dentro di sé la misura dello sguardo del pittore di Aix-en-Provence.
Se l'idea della rappresentazione come «misura» e «documento» identifica Basilico differenziandolo da Piranesi, in questo libro si realizza però anche un incontro, dove ciascuno illumina l'altro, portandone alla luce alcuni aspetti lasciati sottotraccia.
Basilico illumina senza dubbio il lato documentaristico, «storico» di Piranesi, che la vulgata considera soprattutto un visionario.
Da parte sua, Piranesi illumina le radici italiane di Basilico, il suo rapporto con la storia dell'immagine italiana, del paesaggio italiano.
Nel momento decisivo della trasformazione del paesaggio e del modo di percepirlo, alla fine dell'Italia contadina e all'inizio di quella industriale, toccò non all'arte ma al cinema e alla fotografia di farsi eredi della grande tradizione del Paesaggio Italiano, offrendone nuove letture.Insomma, un libro importante, capace come tutti i veri libri di illuminare non soltanto gli occhi.
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