Cultura e Spettacoli

Un romanzo fragile e duro come il cristallo

Viaggio in Europa alla ricerca delle radici e alla scoperta delle contraddizioni della vita

Con un rigore filologico oggi inconcepibile in un'opera di fantasia, Nicola Lecca ha impiegato sei anni per scrivere il suo nuovo romanzo: Il treno di cristallo (Mondadori, pagg. 249, euro 18). Sei anni trascorsi girando mezza Europa del Nord, frequentando gli stessi posti e facendo le stesse cose che fa Aaron, il protagonista.

Il risultato è la descrizione perfetta di tutti i luoghi toccati dal suo beniamino, a bordo del «treno di cristallo». Metafora di formazione e emancipazione, strumento che, attraverso un viaggio/Odissea, conduce alla scoperta della sola verità che conti: quella sulle origini e sulla propria identità.

La scrittura è, come sempre, curatissima; a tratti assume la forma del grande reportage. Lecca si mostra ancora una volta e sempre meglio, capace di affrontare con profondità e delicatezza argomenti scabrosi, come i rapporti tra genitori e figli, l'iniziazione erotica nell'adolescenza o, problema di una contemporanea socialità, figlia dei nostri tempi malati, il campo insidioso e complesso delle relazioni online.

Aaron fa l'apprendista in una storica gelateria e vive in un allegro villaggio sulla costa inglese. Quando la lettera di un notaio gli annuncia che è morto a Zagabria il padre mai conosciuto, all'insaputa della madre, depressa e iperprotettiva, il ragazzo decide di partire, appunto alla ricerca delle proprie origini.

Poiché è antica regola che si diventi veramente adulti quando muore il padre, Aaron compirà il suo viaggio iniziatico prendendo un treno, in un freddo inverno nord Europeo, che lo conduce ad Amburgo, Praga, e poi, traversando Lubiana, Bratislava, Szentgotthárd, fino a Zagabria, gli mostrerà il mondo com'è, in tutto il suo splendore e nella sua squallida miseria, spiattellandogli in bella vista le formidabili contraddizioni della vita.

Il treno è detto di cristallo, perché puro e trasparente e, insieme, durissimo e fragile. Metafora, si diceva, del senso della vita. Resisterà, il giovane Aaron a vincere l'eterna sfida della virtù con il corso del mondo? Supererà le tentazioni e i rischi, o il treno di cristallo si frantumerà, finendo in mille pezzi, nell'inevitabile scontro con le durezze del mondo?

Forse la risposta del Lecca degli esordi sarebbe stata negativa. Questa di adesso apre le porte alla speranza.

L'autore è infatti ancora giovane ma, già nel secolo scorso, con l'opera prima, Concerti senza orchestra, fu finalista allo Strega ed ebbe mentori del calibro di Sergio Maldini, Mario Rigoni Stern e Giovanni Raboni, che non gli lesinarono incoraggiamenti.

Nei romanzi che, in media ogni quattro anni è andato distillando, con meticolosa cura di artigiano, ci ha raccontato il grande Nord, gli ultimi, le umane miserie, la questione giovanile, la droga, l'emarginazione, la malattia, con un pessimismo sardo venato di ironia che, pian piano ha dato l'impressione di arrendersi alla bellezza e al mistero della vita.

Gli eroi, gli ultimi che ora canta Lecca, sono figure tormentate e drammatiche le quali, però, alla fine, potrebbero anche farcela.

Perché diventando adulto, lo scrittore Lecca, nonostante tutto, sembra aver rafforzato la sua fiducia nell'umanità.

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