Cultura e Spettacoli

Saviano non si tocca Il suo plagio? Per «Repubblica» è un «risarcimento»

Matteo Sacchi

Ci sono molti modi di raccontare la realtà. Però alcuni lasciano un po' straniti. Immaginate di leggere il seguente titolo (sulla prima pagina de la Repubblica di ieri): «Saviano, la rivincita risarcito dai giornali che lo accusano per Gomorra». Potrebbe venirvi in mente che i giudici di appello di Napoli abbiano ribaltato le precedenti sentenze sul plagio di alcuni articoli di Cronache di Napoli e Corriere di Caserta che Saviano ha compiuto nel suo libro più noto. A pagina 19 la titolazione interna appare ancora più esplicita. «Il riscatto di Saviano: Ho vinto la mia battaglia contro quei giornali». Vi restassero ancora dei dubbi ci pensa il catenaccio: «I giudici in Appello ribaltano la sentenza su Gomorra. Restituiti 75mila euro. Andranno in beneficenza». Ecco, però, se ci si avventura a leggere l'articolo di Conchita Sannino le cose sembrano essere un po' diverse dal riassunto fatto dal titolista (distratto?).

La giornalista da infatti conto, come del resto le agenzie di stampa, del fatto che la corte, presieduta da Paolo Celentano, ha condannato la Arnoldo Mondadori Editore e Roberto Saviano, in solido, a pagare alla società cooperativa Libra - che edita i due quotidiani - 6mila euro a titolo di danni per l'illecita riproduzione nei brani del libro Gomorra di alcuni articoli comparsi nei quotidiani. Insomma, sulla colpevolezza di Saviano non ha elevato nessun dubbio. Ne poteva essere altrimenti, la sentenza depositata ieri (la decisione risale al 26 settembre), arriva dopo che la Corte di Cassazione, lo scorso 15 giugno, aveva riconosciuto in maniera definitiva che lo scrittore Saviano aveva effettivamente riportato in Gomorra ampi brani di articoli pubblicati su Cronache di Napoli sul Corriere di Caserta. Semplicemente la Corte doveva decidere sull'entità del risarcimento, su cui Saviano e Mondadori avevano fatto ricorso, e che secondo la Cassazione andava ridiscussa. Ergo Saviano resta colpevole come prima, semplicemente il suo risarcimento diventa più basso e dei soldi devono essergli restituiti. Ma voi dal titolo avevate capito questo? No? Ecco forse nemmeno i lettori di Repubblica. Allora forse è il caso di fare come Giampiero Mughini tra i primi ieri a notare la stranezza di questa titolazione su Dagospia e dire: «le scopiazzature sono scopiazzature. E non andrebbero fatte, cari amici della Repubblica.

Semplice semplice».

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