In "Sils Maria" la Binoche infligge al pubblico due ore di sbadigli

da Cannes

I film più a rischio di fallimento sono quelli in cui un regista mette in scena un'attrice nel ruolo di un'attrice, la fa continuamente parlare del suo essere attrice, le costruisce il controcampo di un'assistente molto più giovane che un po' l'aiuta, un po' le vuole bene, un po' la detesta e di un'altra attrice, anch'essa più giovane, destinata a sbranarla sulla scena come nella vita... Aggiunge al tutto il tormentato rapporto con il proprio alter-ego (quello del regista...), visto come un drammaturgo-demiurgo, amato e però non odiato, grazie al quale si passa in rassegna la varia umanità scenica: attori che meno capiscono il suo genio e meglio è; giornalisti più interessati al gossip che alla recitazione; il cinema spazzatura, il divismo di seconda mano che ne deriva, e quello di prima mano che gli resiste; la modernità, i suoi pregi, i suoi difetti, le istruzioni per l'uso. Ciliegina sulla torta, sceglie come ambientazione un luogo carico di suggestioni cultural-letterarie, perfetto per filmare nubi, picchi e laghi... Dopo un'ora lo spettatore sbadiglia, dopo due dorme profondamente.

Sils Maria, di Olivier Assayas, ultimo film ieri in concorso, è questa cosa qui, pretestuosa e presuntuosa. Juliette Binoche, Kristen Stewart, Chloë Grace Moretz e Lars Edinger ci dicono che «il teatro è la vita». La Binoche finge di avere 38 anni, ma la vita non è il teatro. SS

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