Sir Alfred pensiona il bianco e nero il commento 2

di Claudio Siniscalchi

M a come ha potuto Alfred Hitchcock detronizzare Orson Welles? Quarto potere (Citizen Kane, 1941) è appesantito dal bianco e nero, mentre La donna che visse due volte (Vertigo, 1958) ha il vantaggio del colore. Constatazione banale, ma garanzia di maggiore appetibilità. Ormai certi film chi li vede più in sala? Ma quanti hanno la fortuna di assistere alla proiezione di La donna che visse due volte (130 minuti in pellicola da 70 millimetri, come II Gattopardo di Luchino Visconti), si rendono conto che è un trionfo di colori tenui o vivissimi, maestosi o inquietanti, che rendono quasi irreale la bellezza di San Francisco, e soprattutto esaltano il fascino conturbante e malato della protagonista biondo platino Kim Novak. C'è anche una seconda ragione, culturale, che aiuta a comprendere la detronizzazione. Il dominio dei registi venuti alla ribalta tra la fine degli anni Sessanta del secolo passato e il decennio successivo, la «Sex 'n' Drugs 'n' Rock 'n' Roll Generation», sta scemando. Stiamo parlando di Martin Scorsese, Steven Spielberg, George Lucas, Brian De Palma, Paul Schrader, Michael Cimino, Francis Ford Coppola, Peter Bogdanovich, Dennis Hopper, Arthur Penn, Bob Rafelson, William Friedkin. Il loro nume tutelare è stato Orson Welles. Il genio in lotta con lo strapotere dei produttori. Oggi il più originale, colto, ricco, fortunato, chiacchierone, della pattuglia di incendiari, Martin Scorsese, realizza film che fanno rigirare nella tomba l'ingombrante scheletro di Orson Welles. Dopo è arrivata la nuova generazione dei registi postmoderni, gli autori della «X Generation» (dall'omonimo romanzo di Douglas Coupland del 1991), o i «Sundance Kids» (conosciuti o consacrati al Festival di Salt Lake City, creato nel 1978 e sostenuto da Robert Redford): David Fincher (1962), Quentin Tarantino (1963), Steven Soderbergh (1963), Darren Aronofsky (1969), Kevin Smith (1970), Paul Thomas Anderson (1970), Christopher Nolan (1970), Sofia Coppola (1971).

Veri indipendenti, non nati «contro» ma «dentro» Hollywood, non marginali ma integrati, per i nuovi autori l'opera di Hitchcock rappresenta il rispetto della formula del film hollywoodiano, e al tempo stesso la capacità di trasgredirla, imponendo un proprio stile di regia. E allora lunga vita a La donna che visse due volte.

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